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Medea, Medeuzza, Medeazza...
di
Paola Musarra


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Roma, settembre 2009

Ma no, che avete capito? Non si tratta di epiteti più o meno lusinghieri per il nostro beneamato sito. Sono tre toponimi che designano tre località a sud di Cividale del Friuli, le prime due (Medea e Medeuzza) presso Cormons, la terza (Medeazza) presso Duino.

I loro nomi mi sono tornati in mente quest'estate quando ho assistito a due spettacoli (a Topolò il 12 luglio durante la Postaja e a Cividale il 20 luglio durante il Mittelfest) entrambi dedicati alla figura di Medea.

Gli spettatori hanno reagito abbastanza negativamente alle due Medee (a Cividale alcuni hanno abbandonato la rappresentazione prima della fine). Io invece sono stata coinvolta, forse perché ne ho dato una lettura che si discosta dalle comuni aspettative del pubblico (e forse anche dalle intenzioni della regía, chissà...).

1. A Topolò

In Medea fuori dal mito, un film del musicista Davide Casali, la figura di Medea è interpretata da quattro attrici di età diverse corrispondenti alle diverse stagioni della vita: Mattino, Mezzogiorno, Tramonto e Notte. La Medea del tramonto è Roberta Colacino. Chi legge MeDea forse la ricorda impegnata nella maratona di lettura delle Costituzioni durante il Mittelfest del 2007 (Il Mittelfest dei Diritti Umani).

Girato a Topolò, Trieste e Muggia con ambientazioni e costumi (semplici tuniche) essenziali, il film gode di un bel commento musicale.
L'ispirazione non parte dalla Medea di Euripide, ma dalle Argonautiche di Apollonio Rodio (III sec. a.C.), una riscrittura del mito di età alessandrina che si conclude con il ritorno della nave Argo in Tessaglia. Medea, sposa di Giasone (che sfrutta le sue doti senza comprendere i suoi slanci) è presa ormai nelle reti di un amore che si annuncia funesto.

Apollonio prende le distanze dall'epica classica. Giasone è un anti-eroe, dimesso e conciliante, a volte infantile: avrebbe volentieri rinunciato alla conquista del vello d'oro se non gli fosse stata imposta...
La figura di Medea, intrisa di lirismo, è ricca di delicatissime sfumature psicologiche, sin da quando il dardo di Eros la trafigge: "... e consumava il suo animo nel dolore dolcissimo." Con Apollonio conosciamo i suoi sogni, i suoi desideri, i suoi turbamenti.

Nel film di Casali questa atmosfera di intimità familiare viene accentuata. La piccola Medeuzza si pettina con aria sognante i lunghi capelli, il suo terribile padre si trasforma in un futuro suocero apprensivo da tenere a bada con discorsi rassicuranti, i funesti presagi si limitano a qualche ciotola rovesciata.

Ma la vera originalità del film è un'altra. Casali decide di riscrivere la storia di Medea "fuori dal mito", sviluppandone tuttavia le premesse.

La sposa di Giasone subirà i disagi del suo essere straniera nella terra del marito (dal momento in cui arriva in Grecia Casali la fa parlare in greco antico, per sottolineare la sua diversità,,,). Ma come evolve il suo rapporto con Giasone?

Ebbene, secondo i canoni del matrimonio borghese: il marito viaggia continuamente, lei partorisce i figli e si occupa della casa, in un contesto caratterizzato dalla assoluta incomprensione dei suoi problemi e dei suoi desideri.

In una delle sue fugaci apparizioni il marito le rivela che, sì, forse il suocero aveva ragione: con il tempo l'amore finisce, e...

Ma Medea non si vendica, non assistiamo a cruenti delitti: lei sta a casa e aspetta.
Gli anni passano, i figli crescono, ed ecco, sta per morire nel suo letto, circondata dai suoi cari secondo l'iconografia tradizionale della comédie larmoyante. Se ne andrà per prima nell'Ade e terrà il posto al marito... Agghiacciante.

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2. A Cividale

Medea's Scream è uno spettacolo teatrale di Saš e Mojtina Jurcer prodotto dall'Inner World Theatre di Maribor. Questa volta è Euripide, con la gelosia, la vendetta e l'infanticidio, a ispirare la regía di Saš e l'interpretazione di Mojtina, sola in scena per sessanta terribili minuti.

Mojtina non parla, emette solo a tratti piccole urla trattenute, acuti gemiti soffocati, respiri profondi di contenuto orrore.

C'è un grande tavolo cosparso di terra sabbiosa. C'è un bambolotto di celluloide, con i capelli biondi scarmigliati, ci sono alcuni bicchieri e contenitori con acqua e un liquido denso, rosso scuro. Tutti questi elementi diventano parte integrante di una specie di "cucina del diavolo".

Medea fissa gli spettatori con i suoi grandi occhi neri colmi di una selvaggia determinazione, mentre le braccia vanno mulinando su terra acqua e sangue, trascinando e spostando i contenitori (ho ancora nelle orecchie il raspìo del vetro sul tavolo terroso).

Avete mai visto (e sentito!) una donna tradita che si dedica alle usate faccende di casa sfogando sugli oggetti che tocca la sua rabbia impotente?

Quei cassetti e quegli sportelli sbatacchiati, quei panni ritorti e sbattuti fino a cavarne l'anima, quelle innocue posate che cozzano e risuonano come armi temibili... E' soprattutto in cucina che l'aggressività trova il suo massimo sfogo.

Schiacciare, impastare, macinare, sgozzare, spiumare, scuoiare, squartare, frullare... Innocue verdure e animali innocenti arrivano trotterellando in cucina con i loro splendidi colori, il loro morbido pelame e le loro piume sgargianti, ed ecco, la macchina implacabile si attiva, e tutto viene ridotto ad una massa incolore, predigerita dall'odio. Provate a leggere su un libro di cucina la ricetta del pollo ripieno...

Ed è come un pollo, il bambolotto che Medea squarta in scena, con il gusto sfrenato della distruzione. Dell'autodistruzione. Perché nell'ultima orribile scena Medeazza si schiaccia sul volto, come una maschera, la testa del figlio dilaniato.



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