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Il Mittelfest dei Diritti Umani

di Paola Musarra

luglio 2007
Cividale del Friuli è una splendida città, totalmente percorribile in serene passeggiate.
Le stratificazioni del tempo e le sopravvivenze si intrecciano nel centro storico in armoniose architetture, le costruzioni dei nuovi quartieri cercano di adeguarsi alla bellezza del paesaggio, animato dal respiro delle Valli, nobilitato dalla solenne presenza del fiume verde, il Natisone, profondamente incassato, ricco di trote sonnolente.
Si respira un'atmosfera affabile e accogliente, una sana e civile vita quotidiana nei caffè, nelle antiche osterie...

Cividale - foto P.Musarra

Tutto ciò fa sì che Cividale nella mia memoria, quando la rievoco una volta tornata a Roma, assuma la forma di una "città ideale".

Ma Cividale è anche una città che sa trasformarsi in modo sorprendente in occasione di eventi culturali particolarmente significativi.

Ricordo ancora con emozione le grandi mostre sui Longobardi, con tutta la comunità cittadina coinvolta, fin nelle raffinate gioiellerie che riproponevano le forme di antichi monili...

Ricordo un memorabile Mittelfest che aveva animato tutta Cividale, dal cupo Inferno al Convitto Nazionale al trasognato Purgatorio sul fiume, fino all'alba, un'alba incredibile, che ci ritrovò tutti spossati nel Paradiso, all'interno del Duomo...

Ricordo Praga e i suoi misteri, Cividale-Praga con il ghetto nella Stretta giudaica, Odradek nelle osterie-cabaret e l'acrobata sul filo...

l'acrobata

E il Mittelfest del 2006, con l'intera comunità di Volpedo impegnata a far rivivere i volti dei lavoratori, le storie, i personaggi rappresentati nel "Quarto stato" nelle numerose postazioni disseminate nella città.

E quest'anno...

Mittelfest 2007, il Mittelfest dei Diritti Umani, Cividale Capitale dei Diritti.

La città diventa la cassa di risonanza per la rivendicazione dei diritti, si costella di cartelli scritti a mano a grandi caratteri (proprio per esprimere l'immediatezza popolare della rivendicazione) con gli articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti del 1948.

Art.1
Tutti gli esseri umani
nascono liberi ed eguali
in dignità e diritti
....

Che significato può avere oggi l'enunciazione esplicita, "visiva" di questi diritti? Basta "dichiararli"?

Moni Ovadia, direttore artistico del Mittelfest, così si esprime:
"I palazzi del potere, siano essi politici o economici, tendono a far passare per acquisiti i diritti per il solo fatto di essere dichiarati.
Ma i diritti sono tali solo se vivono nel loro tempo, se rinnovano la propria azione ed il proprio significato in un processo ininterrotto di inveramento nella pratica politica e sociale quotidiana.".

F ino a che punto questo processo di inveramento si è compiuto?

Nel leggere i cartelli con i diversi articoli lungo il corso di Cividale e nelle piazze storiche, percepivo l'invito a gridarli, questi diritti, a urlarli con tutte le proprie forze, un invito sottolineato dalla presenza di enormi megafoni simbolici sparsi ovunque.

urlo -  pubblicaz. Mittelfest

Ho provato a gridarmeli nella mente questi articoli che pensavo di conoscere così bene, al punto di "darli per scontati": "Tutti... liberi ed eguali"... "in dignità e diritti"... "IN DIGNITA' E DIRITTI...".

Ed ecco che l'enunciazione di un diritto al tempo stesso evocava, come un'ombra scura, il fantasma del diritto mancato, la violazione del diritto stesso, il suo mancato "inveramento".

Fa bene (e male, nel constatare le inadempienze) rileggere le Dichiarazioni dei Diritti con i loro Preamboli, fa bene rileggere la nostra Costituzione, fa bene riflettere sulle norme che regolano, o dovrebbero regolare, la nostra civile e pacifica convivenza.

Ci ha pensato il Mittelfest, non solo negli spettacoli, ma anche nelle manifestazioni collaterali: ricordo le voci contro la guerra nella rievocazione ad Antro delle poesie di Ungaretti soldato; ricordo la visita con Moni Ovadia e Antonio De Toni, organizzata dalla Pro loco Nediške doline-Valli del Natisone "Sulle tracce delle guerre", nei luoghi più significativi della prima e della seconda guerra mondiale e della successiva guerra fredda; ricordo l'entusiasmante maratona di lettura di tutte le Carte dei Diritti, dalla Rivoluzione francese ad oggi, nell'ambito delle "letture della buona notte", che hanno visto anche Roberta Colacino impegnata nella "Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina" scritta da Olympe de Gouges nel 1791 (ahimé, quanta strada debbono ancora percorrere le donne!).

Olympe de Gouges, ediz. il melangolo

Ricordo soprattutto gli incontri sui Diritti nella chiesa di San Francesco, condotti da Gian Paolo Carbonetto con Moni Ovadia, che hanno visto la partecipazione di un pubblico numerosissimo, attento e sensibile, che ha apprezzato ed applaudito la misura e la correttezza di Francesco Saverio Borrelli, la passione di Leoluca Orlando, la lucidità di Piercamillo Davigo, che si è commosso con Gino Strada (la grande chiesa non riusciva a contenere la folla).

E Gino Strada era presente, nella stessa giornata del 16 luglio, anche alla Cava di Tarpezzo, per uno degli spettacoli più importanti di questa edizione del Mittelfest: "Per la Carta Universale dei Diritti dell'Uomo", che ha visto molti artisti coinvolti. Ma io non voglio raccontarvi lo spettacolo.

Voglio parlarvi della Cava di Tarpezzo, questo luogo ambiguo che ha suscitato tante polemiche.

Prima di tutto voglio descrivervi il luogo. Siamo nelle Valli, dopo il Ponte di San Quirino, lungo il corso del fiume Alberone, tra morbide, verdi colline. Si oltrepassa Clenia e dopo poco si entra sulla sinistra in una strada sterrata che sbocca in un ampio parcheggio dove si lascia la macchina.

Si percorre a piedi un breve tragitto in salita e all'improvviso si apre davanti ai nostri occhi un immenso anfiteatro naturale, una cavea che lentamente converge digradando verso il fondo, dove sorge un'altissima parete a picco.

Solo la parte centrale dell'immensa parete, dietro ad un breve palcoscenico rialzato, è levigata, quasi a forma di stele. Per il resto, è un caos di massi strapiombanti, uno scenario infernale che Doré avrebbe molto apprezzato. In alto, si affacciano appena le cime di alberi invisibili.

la Cava di Tarpezzo - foto Novi Matajur, part.

Spero di avervi dato un'idea di questo straordinario teatro di pietra, che può accogliere oltre 2000-2500 spettatori. Sulla destra, mentre la sera scende, si vedono le luci dei paesini aggrappati alle pendici del Matajur. Spira un vento fresco. Le luci di scena rivelano ogni anfratto dei grandi massi irregolari, che sembrano sospesi nel vuoto.

Eppure questo luogo così suggestivo ha suscitato, come vi dicevo, innumerevoli polemiche: per molte persone delle Valli, che hanno disertato lo spettacolo, è il simbolo delle numerose altre cave che sfigurano il paesaggio come i colpi d'artiglio di un rapace, senza nessun vantaggio economico per le genti del posto.

Debbo dire che per me che sono nata e vivo a Roma e frequento da molti anni la Toscana, nella mia (in)colpevole (in)sensibilità di turista, le cave non hanno mai avuto un aspetto così ambiguo. Ho negli occhi gli straordinari scenari delle cave di marmo nelle Alpi Apuane, le colline metallifere a Campiglia e a Gavorrano, con le antiche miniere, per non parlare delle cave di travertino a Tivoli o delle suggestive cavità nelle pareti tufacee a Marino.

Fino al 16 luglio non ero quindi in grado di dire se nelle Valli le cave per lo sfruttamento del filone di pietra piasentina rappresentassero una oculata attività imprenditoriale, finalizzata alla valorizzazione di un "tesoro"nascosto nelle viscere della terra, oppure se si trattasse di una devastazione del territorio volta unicamente alla relizzazione di un profitto economico, favorita tuttavia dall'ingenuità (o dalla stolida miopia?) di chi svende la propria terra per quattro soldi, senza pensare alle conseguenze del suo gesto.

Il 16 luglio però le cose hanno assunto per me un aspetto diverso, grazie all'intervento a Tarpezzo di Michele Obit, giornalista, poeta, direttore del Circolo culturale Ivan Trinko.

Debbo fare una premessa.

Tranne rarissime eccezioni, in cui la rabbia troppo a lungo contenuta esplode in proteste che la passione rende a volte irrazionali, gli abitanti delle Valli sono in genere molto riservati, quando si tratta di esprimere la sofferenza. Di fronte alle ingiustizie, ai soprusi, alle offese, alle ferite, alle perdite laceranti, preferiscono tacere. Se ne vanno in silenzio, non parlano.

O forse - forse il dolore non lo sanno raccontare.
Solo i poeti...

E Michele Obit è un poeta, ed è per questo forse che ha saputo trovare le parole, parole semplici, per portare a Tarpezzo una voce autentica e forte, per ricordare lo spopolamento forzato del territorio, la dimenticanza durata decenni, da parte delle forze politiche, di questa terra abitata da gente slovena, l'italianizzazione forzata, che ha lasciato tracce nell'odierna retorica nazionalista, nutrita da un confine vissuto come limite, come imperfezione:
"Imperfezione. C'è un'imperfezione, o meglio, una serie di imperfezioni in tutta questa storia. C'è che non sempre chi sta al di qua di una linea è molto diverso da chi sta al di là.
C'è che a volte ti mettono in mezzo una linea e ti dividono, anche se sei uguale all'altro. C'è che anche queste montagne dividono, e le ferite che hanno inferto alla nostra terra, questi buchi, questi squarci che infieriscono, queste pietre che ci portano via.
E le minacce dei radar e degli elettrodotti, e tutte quante le cose che ci hanno tolto senza alcun diritto di rimborso. (...) Non è rimasto niente. (...)
Anche le parole ci hanno tolto."

No, caro Michele, le parole non ve le hanno - non ce le hanno tolte. E tu le hai pronunciate, squarciando il velo opaco della riservatezza. Sembravi fragile a Tarpezzo, in quello scenario dantesco, ma non eri fragile. Ed io per la prima volta ho capito che questa terra fragile (lei sì!), delicata e bellissima, dai mille tesori naturalistici nascosti (i fiori, i sentieri, le grotte, gli animali, le cascatelle...) deve essere difesa. E' questa la forza delle parole.

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