Anche quest'anno sono a Cividale per il Mittelfest. Anche quest'anno ci accoglie la vecchia casa delle zie di Gianni, su per le Valli del Natisone, tra i boschi abitati dai caprioli.
La notte a volte ci visita, curioso, un barbagianni.
Nella mia cronaca del Mittelfest dell'anno scorso, la via si biforcava. Da un lato, l'acrobata sul filo disegnava un percorso maschile in cui la vita sembrava affermarsi e trionfare solo attraverso distruzioni e rovine.
Dall'altro lato, la danzatrice al trapezio ansiosa di toccar terra indicava una traccia con i suoi veli ondeggianti di medusa luminosa, delimitando un territorio in cui le donne, solidamente ancorate al suolo, si cimentavano con le loro lotte quotidiane, affermando la loro presenza vitale con serena consapevolezza.
Le ali di carta di Loretta, il violino di Iva, la spada sognata da Astrid (quest'anno conquistata!) e il grembiulino azzurro ben stirato della signora Attilia erano per me i simboli di una presenza forte delle donne, radicate o di passaggio, in questo territorio aperto all'Est, segnato dalle guerre, dai commerci, dalle musiche, dalle transizioni, ricco di suoni e di voci e di lingue, con lo sloveno e il friulano, con i fiumi che scendono dalle montagne, il vento della pianura e un presagio chiaro di mare laggiù, verso Aquileia.
Quest'anno al Mittelfest il tema era la via della seta: seta d'oriente, seta friulana delle filande.
Bigatis, testo teatrale ambientato nell'antica filanda di Cividale, scritto da Elio Bartolini e Paolo Patui, con la regia di Gigi Dall'Aglio, racconta la vita di un gruppo di giovani filandere. Ascoltiamo gli autori:
"Descrivere il Friuli delle filande assume (...) un sapore del tutto particolare, significa narrare un Friuli in bilico tra passato e futuro, un Friuli che spia il mondo attraverso il pertugio di un telaio, un Friuli che è raccontato per forza di cose dalle donne, dal loro punto di vista, dalla loro sensibilità, perché a lavorare in filanda erano sempre e solo le donne, le filandine, le Bigatis."
Ancora una volta dunque eccole in primo piano, le donne, che si strappano coraggiosamente al mondo contadino, ai ristretti orizzonti della casa, alle consuetudini bigotte, per affrontare il primo incontro con le macchine nelle fabbriche, le donne che segnano con la loro presenza il passato, il presente e il futuro di questa terra di emigranti, con una storia fatta di assenza di uomini, morti in guerra o lontani, nelle miniere del Belgio, in Australia...
E quest'anno è a loro, alle donne, che voglio lasciar la parola:
a Lucia Gazzino, friulana, traduttrice, poetessa, che ha avuto il privilegio di vivere in prima persona e consapevolmente il passaggio dal mondo contadino agli "scenari della società digitale" (è lei che cura la parte amministrativa, i testi e la corrispondenza per il sito la Compagnia de' Malipiero); a Patrizia
Genova, napoletana radicata in Friuli, una delle prime Infoperline (ricordate?), che con cautela e sana diffidenza si è accostata al computer, pian piano ne ha intuito le potenzialità, e ora traccia per noi un quadro delle future trasformazioni informatiche nel campo della pubblica amministrazione.
Che cosa accomuna queste esperienze così diverse? Secondo me, alcune caratteristiche che la configurazione stessa di questa terra, l'aspetto delle case e dei campi, la cura dei cibi sani, il rispetto e l'amore per la natura, per gli esseri viventi suggeriscono: la serietà del lavoro, l'impegno costante e tenace e soprattutto la disponibilità, anche se cauta e critica, nei confronti del cambiamento.
Lucia e Patrizia ci dimostrano che "il nuovo" può convivere con l'antico e che comunque va accettato solo dopo una sperimentazione attenta, vissuta in concreto e in prima persona.
Ma soprattutto ci dimostrano la loro capacità di aprirsi ad una nuova "narrazione", di "raccontarsi" quasi sorprendendosi (altre erano le premesse della loro vita...), accogliendo nella propria scrittura le ibride inquietanti stimolanti presenze che il nostro tempo tecnologico ci propone.