Roma, marzo 2012
Partiamo dalla paulonia, un albero meraviglioso che di solito fiorisce in aprile, regalandoci una miriade di piccole campanule lilla. Ne parlano Rosalba Conserva e Laura Scarino in Romammirabile (ricordate?) a proposito di un'antica leggenda cinese (p.120).
C'è una grande, bellissima paulonia a Roma, in piazza della Chiesa Nuova (Santa Maria in Vallicella). E sulla piazza c'è un'altra meraviglia: la facciata dalle ali leggermente concave dell'Oratorio dei Filippini, morbidamente disegnata dal Borromini.
Entriamo nell'edificio seicentesco. Un'ampia scalinata ci porta (coraggio!) al secondo piano, che racchiude un prezioso scrigno: la Biblioteca Vallicelliana.
Quest'anno la Biblioteca ha ospitato una serie di incontri, organizzati da Lidia Gargiulo con la collaborazione di Massimo Giannotta (v. il sito "La città e le stelle"), sui dialetti in Italia. Agli incontri ha partecipato, l'8 febbraio, anche il professor Ugo Vignuzzi, docente di dialettologia alla Sapienza.
Lidia Gargiulo
foto: P.Musarra
Ascoltiamo Lidia:
"I dialetti antenati di famiglia, i dialetti preistoria della lingua comune... Dialetti poveri, dialetti orgogliosi, dialetti solitari e impenetrabili,
dialetti familiari e quasi nazionali... Ricchezza che affonda e si prepara a
scomparire nel sottosuolo della storia, ma miniera d'oro per canzonieri,
scrittori e poeti che ne estraggono pepite di indimenticabile splendore e
sonorità.
Risorgono così certe parole, entrano nel patrimonio nazionale.
Una
parte di noi ha appreso e usato il dialetto nell'infanzia e ancora lo ritrova nei
luoghi di origine. Più che discorsi, questi nostri incontri saranno testimonianze corali alle quali
ciascuno potrà dare il proprio contributo presentando proverbi, testi poetici,
modi di dire, nomi e nomignoli di gente e di luoghi..."
Nell'incontro conclusivo del 1° marzo con Gianni Tomasetig c'era il poeta Achille Serrao, direttore della rivista "Periferie", che con il suo dialetto campano della provincia di Caserta mi ha riportato all'orecchio parole ed espressioni dimenticate ("'a scesa scarrupata, parla a schiovere..."). C'era anche il poeta Roberto Pagan, che nel suo dialetto ha fatto rivivere una vecchia pescheria di Trieste, "Santa Maria del Guato" (Gianni Tomasetig, il mio compagno, ricorda di averla vista da ragazzo), ora trasformata in Centro Polivalente... Questa poesia fa parte della raccolta Àlighe(Alghe) (edizioni Cofine, Roma 2011) che ha vinto il premio "Città di Ischitella - Pietro Giannone" nel 2011.
Come editore per i dialetti è intervenuto Vincenzo Luciani, fondatore con Bruno Cimino della rivista "Periferie" (v. il sito "Poeti del Parco").
Gianni ha parlato dei dialetti delle sue Valli, le Valli del Natisone. Ascoltiamolo:
"Vi parlerò della mia terra, terra di emigrazione, che sta fra la pianura friulana e la Slovenia, addossata alle prealpi Giulie: è la Benečija, o se preferite la Beneška Slovenija, la Slavia friulana.
Questo territorio, abitato da popolazioni contadine parlanti diversi dialetti, tutti inquadrabili nel complesso ampio e variegato dei dialetti sloveni, fu governato dapprima dai Patriarchi di Aquileia, poi, dal 1420, dalla Serenissima e successivamente dall'Austria fino al 1866, anno in cui gli abitanti scelsero con un referendum di passare sotto l'amministrazione italiana, senza immaginare che sarebbero stati cancellati i diritti secolari di cui avevano goduto, dall'autonomia giudiziaria e amministrativa all'uso del dialetto sloveno.
Il dialetto era vissuto quotidianamente non solo in famiglia, ma anche nella gestione della cosa pubblica e nella vita religiosa. L'applicazione di un rigido programma di progressiva italianizzazione fu come una ferita per la popolazione.
Oggi, grazie alla legge n.38 del 23 febbraio 2001, la minoranza linguistica slovena è stata riconosciuta e tutelata."
Per far sentire ai presenti il "sapore" dei dialetti delle Valli, Gianni ha scelto tre poesie, tre momenti importanti per la Benečija (due le trovate su MeDea).
La prima "mette in scena" scolaretti esuberanti e felici che si avviano verso il loro primo giorno di scuola; sulla soglia però una bambina si sofferma e dice alla sorellina più piccola: "Ricordati che lì dentro non dovrai più con nessuno parlare in sloveno". E' Parvi konfin (Il primo confine) di Bruna Dorbolò (su MeDea).
La seconda poesia evoca un momento familiare, è una dolcissima Nina nana del poeta Aldo Clodig (su MeDea).
C'è però una terza poesia, sempre di Aldo Clodig, sulla quale vorrei soffermarmi.
Questa lirica parla della miniera.
Un'intera generazione di giovani contadini della Benečija, attirata dal miraggio di una vita migliore, ha spento la la propria vita respirando polvere di carbone nelle miniere del Belgio: non solo la tragedia di Marcinelle, ma lo spettro della silicosi in una quotidianità oscura, in cui nulla ha più colore né sapore, neanche il caffè fatto con la cicoria...
V mino
di
Aldo Clodig
San košice pledu,
kar burja je gulila,
sam gibu na pomlad
veselo zemjo.
San učice pasu,
kar sonce j'peklo,
san vince vetlaču
na jesen sladko.
O, mama, vse tuole
kuražno je blo,
mizerjo ku zdravje
san pitu lepo.
Paršla je novica,
popadla nas vse
pripravla v mino
umazane vse.
Cikorja je zgubila
navadni savuor,
piesam je piela
ku ponočni duhuor.
Sonce je bledielo,
za sivo maglo,
le buj san silu
v čarno zemjo...
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Facevo le gerle quando il vento urlava, allegro a primavera smuovevo la terra.
Portavo le pecore al pascolo, sotto il sole cocente. Il dolce vino pigiavo in autunno.
O mamma, tutto questo è stato bello. Con cura assecondavo la salute e la miseria.
Ma è arrivata la notizia che ha irretito tutti noi e ci ha condotto sporchi nella miniera.
La cicoria ha perso il suo solito sapore e il canto assomigliava al grido dell'upupa.
Il sole era sbiadito dietro la nuvola grigia e ancor più io volevo andare dentro la terra nera. | |
(particolare del monumento al minatore di Marco Predan - Archivio MeDea)
mise en page:
paola musarra