Francesca e Shirin
Il mese scorso ho vissuto con molta intensità due eventi romani:
- la proiezione con dibattito del film di Francesca Comencini "Mi piace lavorare - mobbing";
- gli interventi del premio Nobel per la pace, la musulmana iraniana Shirin Ebadi, all'inaugurazione dell'anno accademico presso l'Università Roma Tre e alla Casa Internazionale delle Donne.
Apparentemente lontani, i due eventi si sono presi per mano e si sono fatti largo a gomitate nella mia mente, scavalcando nutrite ma quasi sempre insipide rassegne stampa e altri echi mediatici troppo appiattiti sull'hic et nunc.
A distanza di tempo, vorrei offrirvi un "luogo" per dialogare idealmente con Francesca e Shirin (che certo non si sono incontrate a Roma e probabilmente non si incontreranno mai), una zona protetta che consenta, secondo i loro e i nostri desideri, ai tempi, agli spazi e alle voci delle donne di fiorire in piena libertà, contrariamente a quanto avviene quotidianamente.
Di questo si tratta, infatti.
Nel film di Francesca Comencini il mobbing sulla protagonista si materializza nella progressiva implacabile riduzione del suo spazio di lavoro, nell'invasione violenta del tempo dell'azienda nel suo tempo privato, nella sopraffazione che voci e suoni sempre più aggressivi operano sulla sua voce sommessa e ben educata.
Nella sua giornata romana, ho visto Shirin passare dall'ampio spazio protetto dell'Aula Magna di Roma Tre, allo spazio angusto della saletta per la conferenza stampa, con i giornalisti maschi aggressivi dalle potenti cineprese e le voci acide delle giornaliste, pronte ad azzuffarsi per il posto migliore ("Dammi del lei!" - autentica).
E le domande a raffica, così lontane dal tempo delle risposte...
Un tailleur scuro
di taglio un po' maschile, un golfino semplice per affrontare le tempeste: ecco la divisa che accomuna Anna (Nicoletta Braschi) nel film e Shirin nel suo soggiorno romano.
Ma Shirin ha molta forza da trasmettere ad Anna. Anche lei è stata "degradata" nel suo paese, quando da Presidente del Tribunale è diventata segretaria nella sua stessa sezione. Ma non ha avuto paura, ha saputo subito ricominciare, aprendo uno studio legale, specializzandosi nella difesa dei diritti dei minori (a Roma ha voluto incontrare i detenuti del carcere minorile di Casal del Marmo) e delle donne (in Iran rappresenterà in tribunale la famiglia della giornalista e fotografa Zahara Kazemi, uccisa in carcere).
A casa, con due bambine piccole, conciliava il suo tempo con quello della vita comune: si chiudeva in bagno per scrivere il suo libro, si addormentava la sera con la testa sulla scrivania...

Miniatura indopersiana del XVII sec. (part.)
E Anna, la povera Anna del film, che cade in depressione e si colpevolizza, che cosa fa? Non ne sa niente di politica lei, e poi pensa che far bene il proprio lavoro possa bastare, no? No. Non basta.
Il sindacato? Nel film figura bene, lo sportello mobbing della CGIL di Roma funziona, alla fine Anna vince la sua causa. Ma è sempre e ovunque così?
E poi, attenzione a non "medicalizzare" troppo il mobbing, ammonisce la psicoanalista Simona Argentieri, presente al dibattito sul film: una pasticca, una ricetta, e via...
La discussione è aperta su MeDea, che di problemi del lavoro, mobbing e salute delle donne si è già ampiamente occupata, in passato e recentemente:
- nel giugno del 1999, nell'intervista a Jacopo Barberi (Infoperlina);
- nel luglio 1999, a proposito di un libro di Viviane Forrester e di un intervento di Cofferati;
- nel marzo 2000 (intervento sul mobbing di Donatella Trotta);
- nell'aprile 2002 (interventi sul mobbing di Gabriella Alù e Felicetta Iervolino;
- nel marzo 2002 e nel novembre 2003 a proposito di salute delle donne.
Perché vedete, purtroppo, che si chiamino Anna o Macri o Maria o Shirin, le donne con i loro piccoli tailleur e i loro golfini devono ancora e sempre, nonostante lotte e conquiste, quotidianamente affrontare gli stessi problemi: tempi (il tempo del lavoro, il lavoro di cura, il tempo della vita...), spazi (il posto di lavoro, la casa, la città, i percorsi per accompagnare i figli e fare la spesa... e una stanza tutta per sé, che fine ha fatto?), voci (voci frastornanti dei media - a volte utili per instupidirsi senza pasticche -, voci ostili dell'invidia maschia e femmina... e quella vocina interiore piccola e intima che chiede aiuto o vuole giocare, dove si è nascosta?).
Proprio sulle voci vorrei soffermarmi prima di concludere queste mie riflessioni, che spero si intreccino con le vostre (mi raccomando, andate a vedere il film, prima che lo tolgano di mezzo!).