Uno sguardo un po' diverso... Preciso subito: diverso per me.
Il libro di Adalberto Invernizzi, Il bulldozer e lo stregone (easylibro, Book on Demand, L'Aquila 2011), mi ha offerto infatti uno sguardo un po' diverso dagli "sguardi sull'Africa" che mi vengono abitualmente proposti e che ho in qualche modo interiorizzato:
- lo sguardo avvolgente del letterato che mi presenta la "sua" visione dell'Africa;
- lo sguardo vacuo ed eccitato del turista che dopo pochi giorni di voli e safari pensa di aver capito tutto;
- lo sguardo rapace di chi va in Africa solo per sfruttare ed arricchirsi;
- lo sguardo soccorrevole e impegnato delle missioni umanitarie.
Niente di tutto questo. Adalberto Invernizzi è un ingegnere, ma un ingegnere che ogni tanto si ferma e riflette. Il suo racconto è liscio, asciutto, forse per questo l'ho trovato interessante. Provo a trasmettervi le mie sensazioni.
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Siamo nel 1982. La Società per la quale Invernizzi lavora vuole vincere una gara d'appalto indetta dall'Unione Europea per realizzare un Progetto: costruire in Equatoria (la parte più meridionale del Sudan) una grossa fabbrica di produzione di tè, completa di "capannoni prefabbricati, macchinario moderno di lavorazione, caldaie a vapore, impianto di cogenerazione elettrica" (p.13). Il tutto mentre i guerriglieri del Sud Sudan stanno lottando per ottenere l'indipendenza della regione (la otterranno solo nel luglio di quest'anno, 2011).
Ecco, direte voi, il solito sfruttamento neocolonialista, che...
E invece no, non è così, o meglio, non è proprio così. Vediamo perché.
Con l'aiuto del geometra T., che diventerà capocantiere - un ottimo capocantiere - l'ingegnere parte in missione e, sulla base di "informazioni, dati, sensazioni, contatti" (p.24), elabora un programma dei lavori estremamente particolareggiato.
Le difficoltà non mancano.
In primo luogo, il Progetto dovrà essere realizzato con tecnologie appropriate (si parlava sin dagli anni Settanta di appropriate technology, ricordate il famoso Small is beautiful di "Fritz" Schumacher?), tecnologie semplici, caratterizzate da "piccola scala, controllo locale delle decisioni, efficienza energetica, rispetto dell'ambiente, labour intensive." (p.177).
Schumacher (c'era Gandhi sullo sfondo) proponeva un nuovo orientamento verso tutto ciò che è gentile, non violento, elegante e bello. Questo orientamento, che secondo alcuni oggi è del tutto superato (ma lo è davvero?) si è trasformato nel corso degli anni, assumendo denominazioni diverse: tecnologie centrate sull'utente, sviluppo sostenibile...
Ma torniamo al nostro ingegnere. Oltre ai problemi già descritti ce ne erano altri concreti, molto concreti (e questa è la parte del libro che mi è piaciuta di più). Ascoltate.
"Il sito destinato all'impianto era situato in un luogo isolato, difficilmente accessibile, senza un contesto sviluppato commercialmente e tecnicamente, dove trovare un pezzo di ricambio per una qualsiasi automobile era quasi impossibile, figuriamoci trovarlo per il macchinario di un impianto industriale." (p.25)
Al sito si accedeva seguendo una strada sterrata in salita fiancheggiata da un dirupo: Il fondo era franoso (scivoloso con la pioggia) e afflitto da numerose curve a gomito da correggere con l'esplosivo... ma che ne avrebbero pensato i guerriglieri nascosti nella fitta vegetazione? Considereranno il Progetto utile alla popolazione locale o lo vedranno solo come un'ingerenza ostile?
Insomma, bisognava escogitare tecniche innovative, economiche e rispettose dell'ambiente. Per esempio, niente diesel per i generatori di elettricità (difficile e pericoloso da trasportare) ma legna reperibile in loco: gli eucalipti crescono in fretta, bisognava piantarli in gran numero e bruciarli nella caldaia.
Caldaia? Ma dove trovare una caldaia grande abbastanza per alimentare l'impianto? In Inghilterra, perbacco, dove si facevano ancora buoni affari con le ex colonie. E il macchinario specifico per la produzione del tè? In Kenia, e in India, naturalmente, patria del tè!
Pensate agli innumerevoli contatti, alle verifiche accurate dei percorsi, alla previsione dei costi, all'elaborazione al computer dei dati... Alla fine il Progetto assume la forma di un bel volume rilegato che viene spedito ufficialmente a Bruxelles, all'Ente Appaltante.
Dopo due mesi il piano è approvato, la gara d'appalto è vinta. La costruzione della fabbrica può cominciare, una fabbrica capace di dar lavoro a più di un migliaio di persone...
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Quando comincia la costruzione della fabbrica pian piano arrivano i lavoratori. Le loro famigliole costruiscono casupole, quasi un villaggio, attorno al cantiere. Alcuni passano direttamente dal pascolo del bestiame alle betoniere.
Ce n'è uno che si chiama Anok: è arrivato come manovale e si sta addestrando come operatore di escavatore. Avrà un salario che gli permetterà di mettere da parte qualche cosa...
Nell'intenso capitolo "Lavori e valori" Adalberto Invernizzi si interroga e ci fa riflettere sul violento impatto che il lavoro al cantiere ha sulla vita di chi da generazioni è abituato ad una economia di pura sussistenza:
"valori quali l'efficienza, la produttività, l'economicità, imposti ai contadini diventati di colpo operai come valori assolutamente determinanti e predominanti, nei confronti di valori quali la saggezza degli anziani, le tradizioni antiche, la rispettabilità legata alla posizione all'interno del villaggio, impongono un rapido riassetto delle scale gerarchiche dei valori e della persone." (p.99)
E Anok?
"Quando sarà diventato operatore di bulldozer guadagnerà il doppio di suo padre che è membro del consiglio del villaggio, quindi persona gerarchicamente molto in alto e rispettata, che però fa il semplice manovale."
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Nelle pagine del libro sono descritti molti incontri con personaggi significativi, indigeni o expatriates, che di volta in volta costringono l'ingegnere a misurare e valutare vicinanze e lontananze, consonanze ed estraneità: lo stregone della pioggia, l'antipatico Resident Engineer, i dervisci rotanti...
Ma siamo alle strette, la conclusione è amara. Il cantiere è quasi ultimato, ma per motivi di sicurezza (i ribelli si avvicinano, gli stranieri devono essere allontanati) bisogna abbandonarlo.
"Un altro tentativo di riscatto dalla miseria interrotto dalle fucilate." (p.148)
Paola Musarra