Piccole cronache romane
Di bar in bar
di Paola Musarra
1. A Santa Maria Maggiore
Parto da un bar vicino alla basilica di Santa Maria Maggiore. Mentre il mio compagno
prende il caffè (a me il caffè non piace) io gironzolo nel grande bar e noto una strana macchinetta, che mi affretto a fotografare col telefonino (mi scuso, la foto è un po' mossa). Eccola qua.
La cassiera mi spiega che il dispositivo serve a "grattare" le schede del "Gratta e vinci": si inserisce il foglietto e voilà, la schedina esce pulita con il responso, senza lasciare in giro quei fastidiosi "pippolini"...
Ah, ho capito, dico perplessa. Come potrete immaginare, non me ne intendo molto di "Gratta e vinci", anche se quando vado dal tabaccaio a comprare i fiammiferoni o qualche francobollo i "pippolini" li vedo e come... Ah, ecco perché il piccolo castoro appeso accanto al dispositivo recita trionfante: "Io gratto tu vinci"! Mi accorgo però di un particolare (se guardate bene lo vedete anche voi): la spina della macchinetta è staccata, come mai?
Interviene cupo il barista: "C'è ch'aa ggente je piace de grattà."
2. Alla Stazione Termini
Davanti alla Stazione Termini, al centro di un'aiuola fiorita, c'è la nuova statua dedicata a papa Wojtila, che ha suscitato molte polemiche.
Ribattezzata subito "la garitta", per l'ampia cavità che nelle intenzioni dell'autore doveva rappresentare l'accogliente mantello del papa (è famosa un'immagine di Wojtila che con il grande mantello rosso di velluto avvolge e nasconde scherzosamente dei piccolissimi bambini), forse sarà modificata, forse no. Eccola qua, è alta 5 metri (ho tolto la testa per carità di patria).
Prendo al capolinea l'autobus 40 express che mi porterà alla Casa Internazionale delle Donne . Quando l'autobus passa vicino all'aiuola, un anziano passeggero guarda il papa e scuote la testa: "Pôraccio, nun ze 'o meritava..."..
3. Alla Lungara
Sarà il Biobiobar (di bar in bar, appunto) alla Casa Internazionale delle donne alla Lungara a concludere queste piccole cronache romane.
Dunque, per prima cosa andate a vedere il sito Vivere con lentezza e godetevelo LENTAMENTE (piacerebbe a Franco Cassano che ha scritto l'"Elogio della lentezza", chi segue MeDea lo avrà sicuramente incontrato in Batesoniana a Segovia).
Nel sito "Vivere con lentezza" ci sono i Comanda...lenti e una serie di iniziative molto simpatiche, tra le quali "Leggevamo quattro libri al bar" (ecco, ci siamo arrivati al bar!). Il Biobiobar e il negozio equo e solidale Quinoa della Casa delle Donne hanno promosso questa iniziativa che consiste nel condividere in gruppo delle brevi, brevissime letture (anche un volantino o un biglietto del tram può andare).
L'importante è che quello che leggiamo ci sia molto PIACIUTO. E poi si sta a vedere che cosa succede. E in realtà qualcosa succede, si creano imprevisti collegamenti (non c'è un tema predefinito) e nasce una strana solidarietà di gruppo. Che sia questo l'avvìo per il consenso de mínimos di cui parlano los indignados?
Il 24 settembre nel giardino della Casa eravamo una decina di donne (più qualche uditore) pronte ad intrecciare letture amate, da Isabel Allende (Anna F.) a Hermann Hesse (Simona), da Marion Blœm (Rita) a Tadeusz Kantor (Rossella) da Melville (Anna) a Tabucchi (Cristina).
Anna Rosa Iraldo, che ben conoscete per il nostro Progetto Albania, ha letto la sintesi di un racconto dello scrittore albanese Ylljet Aliçka sui libri vietati in Albania sotto il regime di Enver Hoxha.
Anch'io ho voluto rendere omaggio all'Albania leggendo due pagine dal romanzo Rosso come una sposa (Einaudi, Torino 2008-2009) della scrittrice Anilda Ibrahimi su un argomento per me molto interessante.
A differenza di altri paesi dell'area balcanica, l'Albania si caratterizza per la pacifica convivenza sul suo territorio di religioni diverse (cattolica, ortodossa, musulmana). Su questo punto gli storici stanno attualmente facendo ricerche, studiando gli "statuti" delle diverse religioni conviventi.
Il romanzo della Ibrahimi descrive l'Albania che cambia attraverso quattro generazioni di donne che si passano il testimone, raccontando numerose storie.
Una di queste narra di uno strano funerale... In un paese vicino al mare, in una zona greco-ortodossa muore un vecchio di religione islamica:
"Era morto di tosse. Così, all'improvviso. Aveva la tosse e non gli passava. Avevano tentato di tutto. Gli avevano levato il sangue cattivo, avevano fatto rituali contro il malocchio, era venuto il prete a benedire la casa, il derviscio a fare i riti sciamanici e l'imam a cantare le sure. Avevano chiamato pure il medico della città, ma niente, alla fine era morto." (pp.151-152)
Mentre i familiari preparano il funerale, comincia ad imperversare una tremenda bufera di neve. Il guaio era che in paese non c'era un imam, e non era pensabile andare a cercarlo altrove con quel tempo.
La vedova salta su:
"Come?(...) Al mio povero marito non verranno resi tutti gli onori che gli spettano? Non ci sarà nessuno a cantare le sure? Ci andrò io da sola a cercare l'imam, a piedi in mezzo alla neve, così se morirò ci seppellirete insieme." (p.152)
A queato punto il povero prete che era presente se ne era uscito con una ragionevole proposta:
"Canterò io le sure, che sarà mai? Stasera faccio un ripassatina anche se non ce n'è bisogno. So tutto quello che dice l'imam quando muore qualcuno, farò del mio meglio." (ibidem)
E così, conclude la Ibrahimi, ebbe luogo il primo funerale al mondo in cui un prete abbia cantato le sure del Corano.

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