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Libri e identità 3
Sergio Boria e il ricordo inventato che noi siamo
di
Paola Musarra

dalla copertina

Vi voglio parlare del testo di Sergio Boria, Il ricordo inventato che noi siamo (Guaraldi, Rimini 2012). E' il primo volume della collana I quaderni della complessità, nata per iniziativa di "Dedalo 97" in collaborazione con AIEMS, (Associazione Italiana di Epistemologia e Metodologia Sistemiche), la rivista on line della quale vi ho già parlato su MeDea.

Ve ne voglio parlare perché leggendo questo testo sull'identità personale e la memoria, argomenti cari a MeDea, ho provato un tale senso di condivisione (e, diciamolo, di sollievo nel trovare limpidamente espressi concetti che mi sono cari) che mi verrebbe voglia di citarlo integralmente per farvi capire ciò che provo...

Ma questo non si può fare, perciò partiamo dalla quarta di copertina:
"Questo saggio vuole (...) aiutare il lettore a considerare sia il proprio senso d'identità che i propri ricordi come esperienze emergenti dall'incessante flusso di relazioni umane a cui partecipa."

L'identità non va vista come qualcosa di solido, stabile e inamovibile, dai contorni ben definiti - insomma, CONTROLLABILE.

Ahiahi... C'è bisogno di aiuto perché il terreno diventa franoso: identità e memoria emergono da "un incessante flusso", sono dunque dei processi, non dei dati stabili.

Flusso di che cosa? Di "relazioni umane", a cominciare dalle relazioni che governano la vita familiare, a sua volta condizionata dalle "incerte tappe del ciclo vitale dell'attuale famiglia post-moderna." (p.16)

La cornice epistemologica familiare non basta, ci sono le esperienze che i singoli realizzano in molteplici contesti extrafamiliari, in evoluzione per l'intero arco della vita. Attualmente tali contesti sono caratterizzati da una progressiva precarizzazione della struttura della società (Bauman), per non parlare degli "imponenti processi migratori in corso, che incrementano ulteriormente i livelli di incertezza sul piano sociale."

In questa situazione così friabile e cangiante come si fa a tenere in piedi un senso di identità che sia dotato di un minimo di continuità e coerenza? Forse può aiutarci la "flessibilità cognitiva", vediamo un po': (p.21)
"Viviamo (...) in un epoca storica in cui al cittadino del mondo, a caccia di un riparo comunitario, è richiesta una notevole flessibilità cognitiva, e cioè la capacità di disabituarsi rapidamente a quegli abiti mentali di volta in volta appresi in base alle mutevoli esigenze adattative."

Disadattiamoci, dunque! E... la memoria?

Seguendo le tracce di Heinz von Fœrster e di Ernst von Glasersfeld, bisogna rassegnarsi all'idea che un ricordo autobiografico, sia sul piano narrativo che sul piano neurofisiologico è sempre il prodotto di un incessante rimaneggiamento e rimodellamento delle tracce di memoria nella fase di ri-evocazione, quando guardiamo al passato con gli occhi di oggi.

E (ri)leggetevi Proust, coraggio!

Insomma, i ricordi autobiografici sono inaffidabili e il senso d'identità è infondato: Infondato?!? Vabbe', diciamo "in costante evoluzione"....



Libri e identità 1:
Lucia Gazzino e Babel

Libri e identità 2:
Giuseppe Cossuto e i nomadi guerrieri

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