"Fare spazio"

testo e immagini di
Paola Musarra

Sì, lo abbiamo capito: a quelli che dirigono i grandi mortali giochi dà fastidio chiunque tenti con tenacia di ricostruire una lacerata quotidianità, spazzando via le macerie e i rovi, facendo spazio con disperato ottimismo alla speranza di un sorriso, senza mai dimenticare il tempo delle lacrime.

Mentre le nubi si addensano, penso alle rose negli ospedali di emergency, penso al lavoro silenzioso di "Un ponte per..." (vi avevo parlato su MeDea di questa associazione, ricordate D'acqua e di guerra?).

foto P.Musarra
20 marzo 2004

Penso all'entusiasmo lucido e cosciente di Simona Pari e Simona Torretta e dei loro collaboratori iracheni, ben consapevoli, certo, di essere in pericolo. Ma troppo grande e coinvolgente è l'altissimo e disinteressato impegno civile: c'è tanto da fare, ci sono tanti progetti, ci sono i bambini che aspettano, che vogliono giocare e imparare, e poi, sono finalmente arrivati i libri...

Una delle immagini più toccanti in tutto questo orrore è stata per me l'apertura gioiosa di quel pacco di librini colorati, piccoli fascicoli che insegnano per mezzo di disegnini alcune semplici regole igieniche ai piccoli che non hanno ancora mai vissuto il tempo e gli spazi di una vita normale.

Spazi di vita: sono soprattutto le donne a creare questi spazi. E qui non parlo solo di chi sta in prima linea sui campi di morte (del resto, non siamo forse anche noi ormai in prima linea?), parlo anche di molte donne e di qualche uomo che hanno questo dono: lavorando e comunicando, tessono tutti i giorni una rete che tiene insieme cose animate e inanimate, luoghi e persone, passato e futuro, creando oasi di serenità e bellezza.

Sono spazi reali, concreti, che permettono alle cose di trovare con gioia il loro posto, grazie ad un "orientamento preveggente" che le avvicina, le rende disponibili, accessibili - non ostili.

Sono spazi mentali che aiutano a ragionare e a far ragionare, spazi di attenzione per parlare ed ascoltare, spazi per ricordare e spazi per progettare un futuro da condividere.

Penso a chi lavora con intelligenza nella scuola, penso a chi sa trasformare in poesia il sapore dolce amaro del passato, penso a chi sa creare nella propria casa, nel proprio giardino, uno spazio per accogliere i viandanti, per far nascere storie antiche e nuove.

Questa capacità di fare spazio, uno spazio da abitare e far abitare con il corpo e con la mente, è un patrimonio inestimabile che ha radici remote.

Raum, raümen

Mi è tornato in mente in questi giorni (e il mio soggiorno nelle Valli del Natisone ha certamente contribuito a riattivare questo ricordo) un piccolo scritto di Martin Heidegger intitolato Die Kunst und der Raum, "L'arte e lo spazio", che avevo letto molti anni fa.

Il concetto di fondo è semplice: l'opera d'arte ha bisogno di spazio (Raum), di uno spazio attorno a sé che le consenta di vivere, di respirare. Bisogna quindi crearlo, questo spazio. E qui il discorso diventa secondo me più interessante.

Il verbo raümen (= fare, creare, lasciare spazio disponibile) è alla base dei più antichi insediamenti abitativi: l'umanità delle origini, discesa dagli alberi, uscita dalle caverne, creava, diboscando e dissodando, la radura, lo spazio libero per costruire la propria dimora.

Liberare il terreno dall'invadente vegetazione, ripulirlo dai rovi e dalle erbacce rendendo intellegibile il territorio significa far riemergere gesti antichissimi legati ad una sinergia tra l'uomo e la natura che appaga entrambi, senza violenze.

Fare e lasciare spazio vuol dire al tempo stesso accordare l'accesso e "installare", cioè disporre e ordinare per le cose la possibilità di appartenere a qualche luogo e, a partire da questo, di porsi in relazione tra loro, di "giocare" insieme.

Da quel momento in poi, "le cose stesse sono i luoghi", vivono nel gioco dei rapporti, senza più limitarsi ad "appartenere a...", (l'esatto contrario di quello che fa la guerra, che recide rapporti e radici, stravolge i luoghi, genera violenza e si appropria violentemente delle cose).

E' così che mi piace pensare a MeDea: uno spazio-luogo-tempo predisposto e reso libero per questo Zusammenspiel, per questo "giocare insieme" fatto di consapevolezze, che tuttavia non rinuncia mai alla speranza e che, grazie al vostro contributo, incessantemente si rinnova.

La chiave

C'era una volta, ai margini di un paesino adagiato sulle pendici del Collio, una vecchia casa in rovina circondata da un muro sconnesso.

Oltre il muro, una preziosa chiesetta, chiusa come uno scrigno sul tesoro dei suoi antichi affreschi, si sentiva molto sola in mezzo alle erbacce.

S. Pietro di Chiassacco, affreschi - foto: P.Musarra

Intorno alla casa infatti una fitta vegetazione di intricati rovi e arbusti sfigurava quello che una volta era stato un bel giardino.

Alcuni rami irti di spine penetravano addirittura nelle finestre e nelle porte sfondate.

I proprietari della casa non erano più in grado di mantenerla e avevano deciso di venderla, ma non avevano voglia di cederla al primo venuto, che avrebbe potuto, chissà, tradire lo spirito del luogo.

Un giorno vennero due giovani. Lui era un artista, con tele, pennelli, matite e colori. Lei veniva da un paese lontano, un paese del Nord che aveva lasciato per il sole del Mediterraneo. Tutti e due si innamorarono della vecchia casa e la comprarono: i proprietari avevano capito che l'avrebbero rispettata e trattata con grande delicatezza.

Cominciò così un lentissimo e attento lavoro (non c'erano molti soldi, bisognava fare le cose un po' alla volta) per "fare spazio" all'interno e all'esterno della casa.

Piano piano i lineamenti della facciata ripresero forma, come un bel volto che si rianima. Il paese del Nord lasciò le sue tracce nei caldi legni che ornarono gli interni, nelle intelaiature bianche delle finestre, nell'antico tamburo rituale appeso al muro, dono di uno sciamano.

Dipinti colorati illuminarono le pareti, narrando storie segrete, a volte allegre, a volte indecifrabili come misteriosi emblemi.

All'esterno, quanto lavoro per le spalle di lui e le bellissime mani di lei! Il giardino si rivestì d'erba morbidissima e una moltitudine di fiori ed erbe profumate andò a popolare allegramente gli spazi predisposti tra le pietre.

S. Pietro di Chiassacco - foto: P.Musarra
oltre il giardino, lo scrigno

Ma il capolavoro fu l'orto. "Sì, proprio là era l'orto, un tempo!" disse tutta contenta una vecchia del paese, quando lo vide rinascere al riparo del muro, rivolto verso la calda carezza dell'occidente.

Anche la chiesa si rallegrò. Gli amici dei due giovani andavano spesso a trovarli. In quelle occasioni, la giovane donna si faceva prestare la chiave e apriva per loro la porta dello scrigno...

la chiave - foto: P.Musarra




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