"Guerra e informazione - Guerra all'informazione"
Editoriale di marzo
di Paola Musarra
Corrado Veneziano e Domenico Gallo (a cura di), Se dici guerra umanitaria. Guerra e informazione - Guerra all'informazione, Besa Editrice, Nardò 2005, con allegato il DVD Seděcipersone. Le parole negate del bombardamento della Tv di Belgrado, per la regěa di Corrado Veneziano.
Introduzione
Tragicamente attuali, questo volume e questo DVD che vi abbiamo annunciato negli eventi. Quel venerdì 4 febbraio nella Sala conferenze del Senato doveva essere presente anche Tommaso Di Francesco, caporedattore del quotidiano "Il Manifesto" e autore di uno dei contributi al libro, ma era rimasto al giornale, dove da poco era giunta la notizia del sequestro di Giuliana Sgrena.
Chi legge MeDea già conosce Corrado Veneziano, regista televisivo e teatrale, docente di linguistica all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio D'Amico".
Nel marzo 2003 vi avevo parlato ("La zuppiera") del suo documentario sul bombardamento di Belgrado e in particolare dei problemi riguardanti la libertà di informazione.
Sempre nel marzo 2003 era apparso su MeDea un resoconto di Emi Uccelli ("Quello che la TV non dice") che sottolineava le risorse dell'informazione alternativa presentate in un incontro a Mestre. A quell'incontro aveva partecipato Giulietto Chiesa, che è l'autore di un contributo su giornalismo e democrazia pubblicato nel volume appena uscito.
Su MeDea il discorso sulla libertà/dovere di informare ed essere correttamente informati/e è sempre presente. Ecco perché vorrei soffermarmi in particolare sul saggio di Corrado Veneziano "Scarti, spot e bombe: nell'informazione", che apre la prima parte del volume su Belgrado intitolata "Le parole, la legge".
E' un'analisi sistematica, complessa e raffinata, delle vicissitudini che subisce una comunicazione destinata a diventare informazione giornalistica in tempo di guerra.
1. Ambiguità costitutiva della comunicazione
"Ogni costruzione sintattica - in qualsiasi modello di comunicazione: verbale, iconica, gestuale, etc. - contiene una dose di ambiguità e irrisolutezza." (vol. cit., p.13) Essa può quindi generare un fraintendimento, anche perché chi ascolta (o legge o vede) personalizza la ricezione in base alla propria esperienza. Tuttavia questa ambiguità costitutiva non è un fattore del tutto negativo, anzi, è un fattore di libertà, poiché consente una molteplicità di approcci e moltiplica le interpretazioni (un codice rigido sarebbe troppo vincolante).
Il problema comunque esiste, sottolinea Corrado: "nella dialettica tra libertà e ordine, tra rielaborazione e legge, uno scarto - sempre - va comunque segnalato." (ibidem)
2. Filtri e scarti
Il pericolo di distorsione è maggiore quando il messaggio passa attraverso la mediazione di altri codici, di tecnologie semplici o complesse. La rielaborazione e la riformulazione, anche nel caso di un semplice microfono o di un obiettivo fotografico, sono indispensabili: "Ogni messaggio (...) deve rassegnarsi a una traducibilità che - più o meno - ne ridisegnerà i contorni, ne valorizzerà (o deprimerà) elementi, ne riorganizzerà i contenuti." (p.14)
Le cose si complicano ulteriormente
- quando il messaggio da riportare deve esprimere l'opinione di un gruppo, di una collettività (quale dei punti di vista privilegiare?);
- quando si tratta di riferire un evento che non ha protagonisti "con facoltà di messaggio": a parlare sarà quindi "un terzo" (ma quanto sarà coinvolto?);
- quando infine il contenuto del messaggio "è consegnato a una struttura comunicativa ufficialmente deputata al confezionamento e al trasferimento della comunicazione." (p.15)
E qui cominciano i guai.
Per prima cosa dobbiamo chiederci: chi sceglie e seleziona le notizie? Anche presupponendo che ci sia una scelta collegiale e democratica, ogni elemento di informazione dovrà poi passare attraverso una serie di filtri e di distorsioni: corpo dei caratteri, corsivi, virgolettature (nei periodici), enfasi della voce, pause, qualità dell'immagine (nei Tg), posizionamento e ripetizione della notizia...
Senza voler ipotizzare forzature (manipolazioni, censure), va detto che gli scarti aumentano perché ogni gruppo (giornalisti, redattori, montatori, grafici...) deve ricercare un equilibrio in base al quale ritradurre e riorganizzare l'iniziale informazione.
3. Adeguamento preventivo delle notizie
In un contesto così complesso nasce, in qualche modo, la necessità di adeguare preventivamente l'informazione in modo che possa agevolmente superare le strettoie, i vincoli e i controlli (istituzionali, economici, professionali) ai quali sarà sottoposta. Qui nasce il pericolo. Il "veicolatore istituzionale dell'informazione" opera un adeguamento per difetto, scegliendo un linguaggio "impoverito ed elementarizzato", ma al tempo stesso persuasivo, assertorio e definitivo.
Il modello è quello della lingua pubblicitaria "che storicamente ha affinato le forme della persuasione e del richiamo." (p.19)
Tra l'informazione giornalistica e quella pubblicitaria si crea una straordinaria contiguità: ma a monte, in entrambi i casi, c'è una "entità" (la produzione, o meglio, il mercato) che decide quali sono le parole da usare, le immagini da trasmettere...
Il linguaggio del mercato facilita gli approcci, è tranquillizzante, incasella i desideri, incoraggia "la scelta suggestiva e acritica, l'adesione per moda." (p.22) E' una specie di superlinguaggio imbalsamato, semplificato, mai analitico né razionale: "E' bene che le notizie e i canali siano ridotti, essenzializzati, impoveriti (...) giacché sarà nei loro centri di controllo (meglio se numericamente ridotti) che si sposterà la battaglia di gradimenti, omissioni, censure, negazioni." (ibidem)
4. E in tempo di guerra?
In questo processo di "valorizzazione dell'effimero" il linguaggio della produzione di guerra si trasforma in videogioco, esige contrapposizioni, competizioni, evoca pericoli, nemici, minacce permanenti: "la notizia si fa 'bollettino', l'affermazione è manichea, l'azione è muscolare, l'immagine è vittoriosa." (p.24)
E chi volesse stare "fuori dal coro" (un coro cadenzato e ritmato che nasconde un vuoto argomentativo) sarà punito, perché produce disordine.
A vantaggio dei colleghi amorfi e accomodanti, i giornalisti veri saranno relegati in orari proibitivi, oscurati del tutto, allontanati, trasferiti, licenziati. E altro ancora...
Eppure c'è chi si ostina a scrivere piccoli pezzi di verità, da offrire alla pubblica riflessione. Sono gornalisti, cameramen, fotografi, montatori... Molti di questi muoiono. Nel 1999, a Belgrado, ne morirono sedici. Ecco perché, come afferma Corrado,
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