Per il Seminario del Circolo Bateson
Spiegare e non spiegare una poesia
di Paola Musarra
Roma. Il primo e il 2 dicembre 2012, nella Sala Concerti della Scuola Popolare di Musica di Testaccio, si è svolto il Seminario Nazionale del Circolo Bateson: "Dello spiegare e del comprendere: i presupposti, i modi, i contesti".
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1. Che cosa c'è nel sacchetto?
Negli anni Cinquanta Gregory Bateson aveva avuto un incarico di insegnamento alla Scuola di Belle Arti della California a San Francisco.
Gli alunni erano una quindicina di di giovani beatniks. Bateson sapeva bene, quando entrò in classe per la prima volta che si sarebbe trovato in una "atmosfera di scetticismo confinante con l'ostilità" (vedi bibl.: MEN, p.19).
"Appena entrato", continua, "fu evidente che per loro ero un'incarnazione del demonio venuto lì per difendere la ragionevolezza della guerra atomica e degli insetticidi". (ibidem)
Ma Gregory si era preparato: estrasse da un sacchetto di carta un granchio appena cotto e lo posò sul tavolo.
Io sono sicura che lui avrebbe preferito portare in classe un granchio vivo, ma poi si sarebbe trovato come Alice alle prese con un fenicottero e un riccio nella famosa partita di croquet.
Del resto chi insegna sa bene che è, diciamo, abbastanza facile tirare fuori conigli dal cappello a cilindro, ma i guai cominciano quando tentiamo di rimettere i coniglietti dentro il cappello, perché non ci vogliono assolutamente andare. Sono situazioni che bisogna saper gestire.
A quelli/e tra voi che insegnano consiglio la lettura di un libretto di Mauro Doglio, Uscirne vivi (vedi bibl.). E' rivolto ai ragazzi, ma ci sono notazioni utili anche per i docenti, come ad esempio il paragrafo "Perdere il controllo della classe"...
Ma torniamo a Bateson e al suo granchio. Se volete sapere come Bateson sfruttò la presenza del granchio dialogando con i suoi giovani allievi, andate a (ri)leggere l'Introduzione a Mente e natura.
Io invece voglio soffermarmi sul valore di quello che non esiterei a definire un geniale coup de théâtre. Tirando fuori il granchio e mettendolo sulla cattedra Bateson manda all'aria con un solo gesto tutte le aspettative degli alunni, "scompaginando", direbbe Mauro Doglio, "il modo in cui ordiniamo le cose che vediamo".
Però attenzione: se da un lato questo gesto genera spaesamento, dall'altro, nel caso specifico, crea un contesto di possibile condivisione, diciamo meglio, di complicità, con dei giovani della beat generation del tutto digiuni di scienza, ma forse non del tutto insensibili ad un approccio di tipo estetico.
E io? Quale contesto di complicità con voi posso creare sulla "spiegazione", o anche sulla "non spiegazione" di una poesia? Ancora una volta, attenzione: ho detto di una poesia, non della Poesia (pensiamo a Massimo Troisi, "'O MIRACOLO? No, 'o miracolo...").
Comunque, anche ridimensionando le aspettative, è evidente che mi trovo a navigare tra Scilla e Cariddi (o, se preferite, mi trovo in una situazione di Doppio Vincolo): da una parte, infatti, c'è Scilla che urla con tutte le sue bocche "La poesia non si spiega!", "Sacrilegio!", "Vade retro!", dall'altra c'è il vortice di Cariddi, con i sostenitori di una, incontrovertibile, fortemente ritualizzata SPIEGAZIONE, destinata a ristabilire l'ordine sociale turbato dalla "non comprensione", a creare fiducia nell'autorità dello spiegatore (o della spiegatrice), a rinsaldare l'appartenenza ad una comunità attraverso il rispetto di regole condivise e tranquillizzanti... Insomma, la SPIE-GA-ZIO-NE (ricordate nel film di Fellini la professoressa di storia dell'arte con il biscotto intinto nel cappuccino? La PRO-SPET-TI-VA...).
Già. Ma... tra Scilla e Cariddi che c'è? Ebbene, c'è "un aspro mare", che affronteremo coraggiosamente.
2. Scilla
Prendiamo una delle tante affermazioni categoriche di Scilla: "La poesia (l'arte, in genere) non si spiega: si ascolta, si contempla, ma non si può, non si deve spiegare!". Bene, se ne deduce che ognuno elabora una "sua" spiegazione e se ne accontenta.
Ma siamo sicuri di questo? Siamo sicuri di non volerne "sapere di più"? Sentiamo Mauro Doglio (p.48): "Ogni essere umano possiede una qualità che non gli può essere tolta: ogni essere umano è fatto per imparare. Se non impara non sopravvive...".
Mi viene in mente a questo proposito un capitolo del libro di Mary Catherine Bateson, Con occhi di figlia, intitolato "Papà, insegnami qualcosa". Ecco come Cathy ricorda i momenti privilegiati vissuti insieme al padre nella natura intatta: "Vivevamo meglio, grazie all'informalità e all'improvvisazione, quando evitavamo la 'civiltà' e spartivamo un piccolo spazio e un modo di stare insieme la cui chiave poteva essere rappresentata dalla frase 'insegnami qualcosa'...". (pp.48-49)
Ed ecco un altro ricordo, riferito da David Lipset, il biografo di Bateson. Nel 1978 Bateson era ricoverato in ospedale. Si era fatto portare alcune copie di Verso un'ecologia della mente (Steps to an Echology of mind) per regalarle a medici e a visitatori. Nora, che aveva allora nove o dieci anni, si arrampicò sul letto del padre e gli chiese: "Papà, io potrei capire Steps?". E Bateson si mise a guardare l'indice, poi disse: "Forse, alcuni di questi metaloghi..." (p.300). Piacere di spiegare, piacere di imparare...
 ... con Nora...
3. Cariddi
Ma che cosa diremo a Cariddi, cioè a chi sostiene la necessità di "una" spiegazione?
Bateson sembrerebbe suggerirci una soluzione in Mente e Natura (pp.119-120) proponendo un "confronto creativo", confrontando confronti. Ascoltiamolo:
"Combinando informazioni di genere diverso o provenienti da sorgenti diverse si ottiene qualcosa di più che la loro addizione(...): la combinazione delle parti non è una semplice addizione, ma possiede la natura di una moltiplicazione o di un frazionamento, o della creazione di un prodotto logico. Un attimo di illuminazione.".
Un attimo di illuminazione. Ecco, giusto un attimo, perché per Bateson nessuna spiegazione, neanche quella che sembra evidente, è, mai del tutto soddisfacente e definitiva. Ci potranno infatti essere altre spiegazioni in seguito, non siamo in grado di prevederlo: Si tratta dunque solo di un'ipotesi, di un processo in corso: dovremmo ricavarne una grande lezione di umiltà.
4. "Per aspro mare"
Adesso mi addentrerò con voi nei meandri di una spiegazione/non spiegazione, cercando di mantenere vivo il vostro piacere di saperne di più e rispettando al tempo stesso la mia "volonté de [me] faire comprendre", secondo l'espressione della pedagogista francese Sophie Moirand.
Accompagnerò la poesia con dati provenienti da fonti diverse, inforcando bivi e quadrivi, rispettando gli operatori logici...
Quando la piccola Cathy e suo padre andavano nelle sierras o nei boschi cercavano "una strada secondaria da cui si dipartivano molti sentieri..." (p.47), il tutto però nella piena consapevolezza che, come dice Bateson in Mente e Natura (p.122), "il nostro conoscere è una piccola parte di un più ampio conoscere integrato che tiene unita l'intera biosfera o creazione".
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E' tempo di smettere di parlare "su" e di cominciare a parlare "dentro". Dentro una poesia sulla quale avevo già lavorato nel lontano 1992 in un gruppo di francesisti.
La poesia che ho scelto
- non contiene parole di difficile comprensione;
- ha un ritmo familiare;
- fa parte di una "enciclopedia" condivisa;
- è, per ovvi motivi, breve, anzi brevissima, un mezzo haiku...
Su, coraggio, avete indovinato:
M'illumino d'immenso. M'illumino d'immenso. M'illUmino d'immEnso.
E' bello questo settenario sdrucciolante, è un ritmo che ci è familiare, andiamo a caccia di altri settenari simili nella nostra lingua quotidiana: M'illUmino d'immEnso - Mi rOtolo sull'Erba - AscOltami, ti prEgo - Mi sEmbra d'impazzIre - SforziAmoci di dAre - Un sEnso a questa vIta... anche se...
Sforziamoci di dare un senso a questa vita e anche a "quell'oscurissima faccenda che è il processo di apprendimento", dice Bateson.
Dunque, abbiamo detto: "M'illumino d'immenso". Ma io avrei potuto leggere la poesia in tanti modi diversi: in modo enfatico... sommessamente... urlando... Avrei potuto mimarla (Pina Bausch!), danzarla, cantarla... In una parola: avrei potuto "interpretarla", orientando in tal modo la vostra comprensione.
Ho sentito dire alla radio, non so se sia vero, che quando chiedevano a Schumann di "spiegare" una sua composizione, lui si rimetteva al pianoforte e la suonava un'altra volta e, se insistevano, la suonava ancora e ancora... La re-interpretava? La ri-descriveva? E la sua (re) interpretazione, la sua (ri)descrizione erano una spiegazione? A voi la risposta.
5. Nella radura
Torniamo alla nostra poesia. Le diverse interpretazioni scivolano via dal suo corpo come vesti di seta. Adesso è là, sola come una statua in mezzo a una radura, a uno spazio libero (Raum), a un "chiaro del bosco", direbbe María Zambrano.
Ma escono le Driadi dal bosco, portando doni, la statua si anima e le segue per mille sentieri, alla ricerca di sé, muovendosi in un "labirinto annodato", secondo l'espressione di Enrico Castelli Gattinara, per ricostruire il tempo degli oggetti assenti, che dovranno da ora in poi accompagnarla. E trova un nome, un uomo, un poeta: Giuseppe Ungaretti. E trova un titolo: "Mattina" (un titolo che prima era "Cielo e mare"). Poi trova un luogo, Santa Maria La Longa, e una data, una data che fa tremare: 26 gennaio 1917.
- Ungaretti, uomo di pena, che ci fai la mattina del 26 gennaio 1917 giù nella pianura friulana che più piatta non si può? Il prodotto logico non funziona: non eri sul Carso, dove strascinavi la tua carcassa nel fango della trincea, con il compagno morto vicino per tutta la notte? E tutta questa luce? E il mare, poi...
- Solo una breve licenza in pianura. C'è la neve, sai. Ho scritto un'altra poesia (stesso luogo, stessa data): "Vorrei imitare/questo paese/adagiato/nel suo camice/ di neve". La luce? La luce è un presagio di mare ("Cielo e mare" era il titolo; ricordi?), laggiù, laggiù in fondo alla pianura dove il cielo accoglie tutto il chiarore...
Forse un ricordo lontano: Alessandria d'Egitto, il deserto, il mare come un miraggio.
Ungaretti nelle Note scrive (pp.509-510): "... il mare, il mare che da ragazzo scoprivo come una figliazione del deserto (...). Di Alessandria (...) ho serbato il sentimento del deserto e del mare che col deserto faceva pianura illimitata".
Nel suo finissimo saggio sul linguaggio di Ungaretti, Joan Gutia sottolinea l'intensità straordinaria del riflessivo ("M'"illumino) (pp.120-121): " Uno scavare nel fondo del proprio essere per riportarlo con le radici alla luce. Mediante un intenso lavoro su se stesso, il riflessivo riconduce sul soggetto, cioè verso l'interno (l'io profondo), l'attività del verbo che per una inclinazione naturale tende verso l'esterno. Pertanto il verbo riflessivo è la espressione della concentrazione delle forze in se stesse, interiorizzazione che sa di acrobazia".
6. Trasmutazione
Trasformiamoci allora in speleologi o, se preferite, in alchimisti. Scendiamo nella profondità delle singole parole (Visita Interiora Terræ...) che compongono la poesia: saranno per noi come delle concrezioni calcaree da sciogliere e scomporre, per ricostituire il processo della loro formazione: "Tout signe - et par suite tout lexème - a un sens qui lui est conféré par ce qu'il avait de potentiel au départ plus ce que lui a légué son utilisation historique a un moment donné", afferma Enrico Arcaini ("Tension..." p.345).
M'ilLUmino d'imMENso I LUMEN |
L'accendersi improvviso della sillaba LU ha l'effetto di un Fiat Lux di grande potenza nell'eccezionale sincretismo del primo verso, sul quale convergono le linee di forza.
A questo forte accendersi dell'"Io" fa da contrappunto l'espansione al secondo verso: "d'imMENso", la negazione della misura. Il processo si focalizza improvvisamente su un altro scenario in cui il protagonista sembra dilatarsi fino ad occupare tutta la scena e, paradossalmente, scomparire, come in "Annientamento": "e mi trasmuto/in volo di nubi".
Le linee di forza si espandono, ma poi si innesca un processo iterativo, per cui riconvergono sul primo verso: LU-MEN-LU-MEN...
Siamo più vicini al segreto delle parole, alla forza primordiale delle sillabe. Si crea una pulsazione, in cui il soggetto di volta in volta si raccoglie, si espande e si cancella, in una specie di moto perpetuo al quale è difficile sottrarsi.
7. Un "esprit frère"
Il mio lontano lavoro (1992) su questa poesia di Ungaretti era stato fatto in vista di una eventuale traduzione in francese. Una "pre-traduzione", insomma.
Dopo aver creato due campi semantici contrapposti in francese e in italiano con tutti i vocaboli intermedi compresi fra /luce/ e /buio/, bisognava partire alla ricerca di un "esprit frère" cioè di un autore che rivelasse sul tema in questione una sensibilità non dissimile da quella di Ungaretti.
Emerse subito una figura: Arthur Rimbaud (fu una gioia scoprire che Ungaretti aveva intrapreso la traduzione delle Illuminations). In Aube ("Alba") il poeta insegue a lungo e infine ghermisce l'alba estiva:
J'ai embrassé l'aube d'été Il verbo embrasser non è solo "abbracciare", è anche "baciare stringendo a sé". E infatti:
J'ai senti un peu son immense corps C'è forza, energia. E Ungaretti, in "La notte bella", con lo stesso slancio:
... Sono stato uno stagno di buio
Ora mordo come un bambino la mammella lo spazio
Ora sono ubriaco d'universo
Mi viene in mente una indicazione di Olivier Messiaën su un suo spartito: in quel punto bisognava suonare come "abbagliati dalla luce".
Sì, ma... come si traduce in francese "M'illumino/d'immenso"? Beh, certamente NON "Je m'illumine d'immense", che si trova, ahimé, in Rete...
Bisognerà fare altre triangolazioni, cercando dalle parti di Prévert (l'éblouissante clarté) o di Apollinaire (Belle clarté, chère raison).
Clarté, dunque? E' su questa parola che bisogna lavorare? Perché no? In francese la radura è la clairière... claro del bosque.
8. TRANS-DUCERE
Il discorso sulla traduzione è, come abbiamo visto, ampio e complesso. Qui mi limiterò a sottolineare il fatto che "accompagnare" una poesia attraverso una frontiera (TRANS-DUCERE) comporta una serie di operazioni finissime di decostruzione e ricostruzione del senso nelle due lingue. Siamo costretti a riflettere per ricostituire tutto lo spessore dei contesti culturali contrapposti e per cogliere quella dimensione diacronica cristallizzata della quale ogni segmento linguistico è, in un certo senso, il testimone.
Se vogliamo che i confini non siano barriere ma "vasi comunicanti", come dice Gianni Tomasetig che ben conosce confini e frontiere, dobbiamo diventare sensibili a tutto ciò che, anche impercettibilmente, si modifica nel passaggio. Incontreremo altre reti di associazioni, altre "enciclopedie", altre modulazioni, che ci obbligherano a rivedere criticamente il "nostro" contesto culturale, in un va-e-vieni molto stimolante.
Nel caso della traduzione di una poesia il passaggio è ancor più rischioso e denso di interrogativi. Che cosa si guadagna in questa trasmutazione? Che cosa si perde? Che cosa si offusca, si annebbia? Che cosa si rischiara, si "spiega"?
Adesso vi proporrò un mio testo in francese, una poesia. Niente paura: subito dopo avrete il testo in italiano. Ma voi cercate di collaborare, cercate di afferrare almeno qualcosa, almeno la musica... Ungaretti racconta che da giovane aveva incontrato Mallarmé e lo aveva subito amato, anche se, confessa, tutto non lo capiva: era la musica a sedurlo. Siete pronte/i?
Mon navire d'oubli passe comme un fantôme dans une mer atroce, hivernale, à minuit; de Charybde en Scylla son cap, au gouvernail mon maître, mon seigneur - hélas, mon ennemi.
Alerte, une pensée pousse chaque aviron, rebelle, défiant la mort et la tempête; la voile est déchirée par un vent éternel, humide, de soupirs, d'espoirs et de désir.
Les haubans fatigués, mouillés et alourdis par le dédain brumeux et la pluie de mes larmes, sont un tressage épais d'ignorance et d'erreur;
les deux signes d'amour, mes guides, ont disparu, dans les flots ont sombré mon art et ma raison; et déjà de trouver mon port je désespère. |
Allora? L'avete riconosciuto? Almeno chi legge MeDea dovrebbe ricordare...
Ecco il testo italiano:
Passa la nave mia colma d'oblio per aspro mare, a mezza
notte il verno, enfra Scilla e Caribdi;
et al governo siede il signore, anzi ‘l
nimico mio;
a ciascun remo un penser pronto e rio che la tempesta e ‘l fin
par ch’abbi a scherno; la vela rompe un vento
umido, eterno di sospir, di speranze e
di desio;
pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni bagna e rallenta le già
stanche sarte che son d’error con
ignoranzia attorto.
Celansi i duo mei dolci usati segni; morta fra l’onde è la
ragione e l’arte, tal ch’i ‘ncomincio a
desperar del porto.
Francesco Petrarca, Canzoniere,
189. |
Attiro la vostra attenzione sull'ultimo verso. In francese un affannoso alessandrino:
et déjà - de trouver mon port - je désespère in italiano un endecasillabo di eccezionale compostezza:
tal ch’i ‘ncomincio a
desperar del porto
Da qui si potrebbe partire per parlare, ad esempio, del tempo: tempo del tradotto, Francesco Petrarca, tempo del traduttore, il mio. Ma è proprio il tempo che ci manca, perciò, mi avvio verso la conclusione, anzi, verso la "collisione".
9. Collisione
Mi spiego: su Medea stiamo facendo da tempo (esattamente dall'ottobre del 2010) un esperimento, a partire da Poetanza mista, una raccolta di poesie "curate" dal professor Paolo Di Santo, che è anche da molti anni un mio caro amico di computer.
Di che si tratta? Per prima cosa, certo, va detto che è un gioco. Però noi sappiamo, grazie a Bateson, in quali pasticci andiamo a cacciarci quando cominciamo a (o crediamo di ) giocare.
Dunque, su MeDea vengono proposti dei componimenti poetici "misti", cioè fatti di versi (o gruppi di versi) di poesie di vari autori che sono entrate, per così dire, in collisione. Giocando con la propria memoria o con i propri libri o... con Google, bisogna attribuire i versi ai legittimi proprietari.
Si tratta chiaramente di un invito alla lettura, ma c'è dell'altro. Con il passare del tempo ci siamo accorti (soprattutto di fronte ad alcuni maliziosi "centoni" di Paolo) che anche dopo la "collisione" certi nuclei poetici sopravvivevano (abbiamo parlato della forza segreta delle parole, addirittura delle sillabe); sopravvivevano, certo, ma ovviamente acquistavano nuove colorazioni, a volte davvero sconcertanti, nei nuovi contesti.
Questo, lo capite, costringe chi legge a fare dei testi di partenza una rilettura in profondità. Ne verrà fuori una "spiegazione"? Mah. Giudicate voi.
Ecco perché voglio concludere questa mia comunicazione proponendovi la più recente creazione del professor Di Santo: un intimo, davvero intimo abbraccio tra due poesie molto note.
Mi raccomando, mentre leggete date a Cesare quel che è di Cesare, ma dategli anche un po' di quel che è di Dio, perché... Cesare non deve morire!
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Sera infinita
da “Poetanza mista” di Paolo Di Santo
Forse perché
le secrete vie del mio cor
soavemente tieni,
a me sì cara vieni,
o sera,
e mentre io guardo la tua pace
s’annega in questo mare
quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.
Ma sedendo e mirando
interminati spazi,
tra questa immensità
io nel pensier mi fingo
inquiete tenebre e lunghe
che vanno al nulla eterno,
ove per poco il cor non si spaura:
tu sei l’imago della fatal quiete,
dell’ultimo orizzonte.
E, come il vento,
intanto fugge questo reo tempo,
e van con lui le torme delle cure
e le morte stagioni…
P.S. Ma in questo caso i versi sono in "collisione" o in "dialogo", come i duellanti sulla copertina del libro di Gianni Tomasetig? Ne riparleremo...
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Bibliografia minima
- G. Bateson, Mente e natura (MEN), Adelphi, Milano 2004 [1984]
- M. C. Bateson, Con occhi di figlia. Ritratto di Margaret Mead e Gregory Bateson, Feltrinelli, Milano 1985
- D. Lipset, Gregory Bateson. The Legacy of a Scientist, Beacon Press, Boston 1982
- M. Doglio, Uscirne vivi. Manuale per sopravvivere a scuola ad uso delle giovani generazioni, Lupetti, Milano 2005
- S. Moirand, “Les discours de transmission des connaissances: reformulation et didacticité », communication au Convegno Nazionale lend, Modena 1996
- D.Sparti, Se un leone potesse parlare. Indagine sul comprendere e lo spiegare, Sansoni Editore, Firenze 1992
- M. Orsolini, C. Pontecorvo, “La genesi della spiegazione nella discussione in classe” in AA.VV., La spiegazione nell’interazione sociale, Loescher, Torino 1989
- E. Arcaini, “Tension discursive et analyse linguistique” in Studi Italiani di Linguistica Teorica ed Applicata (SILTA), V (3), 1976; trad. ital. in E. Arcaini, Analisi linguistica e traduzione, Pàtron Editore, Bologna 1986
- P. Musarra, “Pour une pré-traduction de ‘M’illumino/d’immenso’ : à la recherche d’un ‘esprit frère’ “, 1992 (inedito)
- G.Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, a cura di L. Piccioni, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1992 [1969]
- J. Gutia, Linguaggio di Ungaretti, Le Monnier, Firenze 1959
- M. Heidegger, L’arte e lo spazio, il melangolo, Genova 1979
- M. Zambrano, Chiari del bosco, Feltrinelli, Milano 1991
- E. Castelli Gattinara, Le nuvole del tempo. Elementi di epistemologia della storia, CISU, Roma 2006
- P. Di Santo, “Poetanza mista” su MeDea
Sommario
In bilico tra spiegazione/non spiegazione, descrizione e interpretazione (Sparti, Orsolini-Pontecorvo), rispettando il piacere di imparare e di far(si) capire (Doglio, Moirand, M.C.Bateson), si delinea un percorso aperto di ricerca, un processo che parte dalle potenzialità dinamiche profonde del segno linguistico (Arcaini) e si arricchisce in molteplici e labirintici contesti (G.Bateson, Castelli Gattinara), attraverso esperimenti di traduzione/trasmutazione (Musarra) e “collisione” (Di Santo).
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