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"J'ai plus de souvenirs..."

Oro, lana, ferro... e spleen

di
Paola Musarra
con una poesia di Charles Baudelaire
liberamente tradotta


Roma, novembre 2013

Ieri mattina presto ho aperto la finestra e nella penombra ho intravisto per terra un cerchietto di ferro.

Un anello da tenda?

Già, ma io non ho tende in questa stanza.

La guarnizione di un rubinetto, una rondella?

E che ci faceva in camera da letto?

Ho raccolto il cerchietto e ho visto che era di ferro, ruvido, scuro, un po' consumato. Macchinalmente l'ho infilato al dito, all'anulare della sinistra. Un po' stretto, ma insomma, è entrato.

Solo allora mi sono accorta che c'era qualche lettera incisa. Un nome di donna?

Ho preso gli occhiali e ho letto PATRIA... patria?!

anello di ferro

L'ho girato e ho letto... ORO ALLA PATRIA.

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Nel 1935, due anni prima che io nascessi, il fascismo aveva organizzato una grande manifestazione nazionale, una "raccolta di metalli utili per la causa bellica". Le donne si mobilitarono per donare la propria fede nuziale d'oro. In cambio ebbero quella di ferro (lo so, anch'io mi sto chiedendo che fine avrà fatto tutto quell'oro...).

Mia madre portò quel brutto anello per anni, poi mio padre le comprò una bella fascia d'oro che lei portò sempre al dito. E' sepolta con lei.

E il cerchietto di ferro?

E' rimasto per anni e anni in mezzo alle vecchie carte, alle foto ingiallite, alle medaglie... E poi è saltato fuori, due giorni fa, quando ho frugato nei ricordi di famiglia, cercando una lettera di mio padre del 1917...

Ma non è tutto.

Dopo il ritrovamento della "fede", ho cominciato a rimuginare su un ricordo, che riaffiora insistentemente dalla memoria oscura della mia infanzia.

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Avevamo all'ingresso una cassapanca di legno, apribile, con lo schienale rigido e due braccioli ai quali erano appoggiati due cuscini di pelle (?), uno tondo con le frange, uno quadrato.

Io ci salivo sempre in piedi da piccola per saltare giù, mia madre e mia nonna non erano contente di queste mie acrobazie.

Ma torniamo al mio ricordo: vedo distintamente sulla cassapanca una federa ricamata, sulla quale è disposta con arte una montagnella di lana bianchissima accuratamente dipanata. In cima alla montagna, un fiocco tricolore.

Nel ricordo io sono eccitatissima: la porta di casa è aperta, anche quella dei vicini, e io corro avanti e indietro sul pianerottolo da un ingresso all'altro, mentre aspettiamo... che cosa?

Dei signori sconosciuti arrivano e portano via tutto rapidamente...

Come sempre Wikipedia mi soccorre: la raccolta della lana il fascismo la fece nel 1942. Io avevo dunque cinque anni, eppure rivedo ancora tutti i particolari, le luci accese nei due appartamenti, il nostro pavimento di mattonelle quadrate rosse e blu...

Evidentemente per tutti questi anni TUTTO E' RIMASTO LI', perciò vi dico: state molto attente/i quando frugate nei ricordi, nei cassetti o nei bui circuiti della mente! Non fatelo da sole/i, fatevi aiutare!

Io ho chiesto aiuto alla poesia, a Charles Baudelaire.

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"J'ai plus de souvenirs que si j'avais mille ans"

"Ho più ricordi di quanti ne avrei
se mille anni avessi vissuto"

Sì, mi sento di tradurre così, con la pesante lentezza di una narrazione remota, la concisione mirabile del primo verso di "Spleen LXXVI" (da Les fleurs du mal).

Ed ecco la puntigliosa evocazione del mobile-cervello, dai mille segreti e nascondigli.

"Un gros meuble à tiroirs encombré de bilans,
De vers, de billets doux, de procès, de romances,
Cache moins de secrets que mon triste cerveau"


"Un grosso cassettone ingombro di bilanci,
di versi e bigliettini, di ingiunzioni e romanze,
di trecce avvolte in vecchie ricevute
meno segreti cela del mio triste cervello"

In uno dei suoi piccoli poemi in prosa ("La chambre double" in Le spleen de Paris) Baudelaire ci offre dei mobili della sua stanza una doppia descrizione: dapprima, in un sogno crepuscolare azzurro e rosa, i mobili hanno forme languide, morbide, sembrano sognare, "on les dirait doués d'une vie somnambulique". Il Tempo scompare.

Ma ad un tratto, dopo un colpo tremendo alla porta, entra lo Spettro: "E' un usciere che viene a trovarmi in nome della legge...". Una vita travagliata, assediata dai creditori.

Ed ecco, la deliziosa stanza si rivela per quello che è veramente: una squallida topaia, con dei mobili insignificanti e malandati, con dei manoscritti incompleti, pieni di cancellature.

E il cervello?

"C'est une pyramide, un immense caveau
qui contient plus de morts que la fosse commune"


"Tomba immensa, piramide che nasconde più morti
di quanti ne contiene una fossa comune"

Ormai siamo trascinati nell'orrore, dobbiamo seguirlo fino in fondo.

"- Je suis un cimetière abhorré de la lune,
Où comme des remords se traînent de longs vers,
Qui s'acharnent toujours sur mes morts les plus chers"


"Io sono un cimitero che la luna disdegna:
lunghi vermi si trascinano come rimorsi
e sempre si accaniscono sui miei morti più cari"

Come siamo lontani dal Cimetière marin di Paul Valéry: "Le vent se lève... Il faut tenter de vivre!".

Poi Baudelaire ci accompagna nell'atmosfera soffocante di un vecchio, scolorito boudoir.

"Je suis un vieux boudoir plein de roses fanées
Où gît tout un fouillis de modes surannées,
Où les pastels plaintifs et les pâles Boucher
Seuls, respirent l'odeur d'un flacon débouché"


"Sono un vecchio boudoir con le rose appassite
ed una confusione di fogge fuori moda.
Pastelli lagrimosi e pallidi Boucher
respirano l'odore di un profumo svanito"

E' un altro mostro che avanza, l'Ennui, la Noia che sembra non finire mai.

"Rien n'égale en longueur les boiteuses journées
Quand sous les lourds flocons des neigeuses années
L'ennui, fruit de la morne incuriosité
prend les proportions de l'immortalité"


"Giornate zoppe prolungate all'infinito.
Sotto i pesanti fiocchi delle annate nevose
la noia, triste figlia dell'incuriosità,
prende le proporzioni dell'immortalità"

Tutto sembra pietrificarsi, ma...

"- Désormais tu n'es plus, ô matière vivante!
Qu'un granit entouré d'une vague épouvante,
Assoupi dans le fond d'un Sahara brumeux.
Un vieux sphinx ignoré du monde insoucieux,
Oublié sur la carte, et dont l'humeur farouche
Ne chante qu'aux rayons du soleil qui se couche"

La statua di Memnone, figlio dell'Aurora, cantava all'alba, l'umore selvaggio del poeta, vecchia sfinge di pietra, canta solo ai cadenti raggi del sole che muore.

"- Non sei più nulla ormai, o materia vivente!
Solo un granito avvolto da indistinto tremore,
assopito nel fondo di un Sahara nebbioso:
solo una vecchia sfinge, che il mondo spensierato
ignora, dimenticata sulle carte.

E il suo umore selvaggio canta solo
ai raggi del tramonto."

Vi invito adesso a rileggere le due poesie ricomposte, abbandonandovi alla musica delle due lingue, così vicine, così lontane.

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Charles Baudelaire
Les fleurs du mal
LXXVI
"Spleen"

"J'ai plus de souvenirs que si j'avais mille ans."

"Un gros meuble à tiroirs encombré de bilans,
De vers, de billets doux, de procès, de romances,
Cache moins de secrets que mon triste cerveau."
"C'est une pyramide, un immense caveau
qui contient plus de morts que la fosse commune."
"- Je suis un cimetière abhorré de la lune,
Où comme des remords se traînent de longs vers,
Qui s'acharnent toujours sur mes morts les plus chers."
"Je suis un vieux boudoir plein de roses fanées,
Où gît tout un fouillis de modes surannées,
Où les pastels plaintifs et les pâles Boucher,
Seuls, respirent l'odeur d'un flacon débouché."

"Rien n'égale en longueur les boiteuses journées,
Quand sous les lourds flocons des neigeuses années
L'ennui, fruit de la morne incuriosité,
prend les proportions de l'immortalité."
"- Désormais tu n'es plus, ô matière vivante!
Qu'un granit entouré d'une vague épouvante,
Assoupi dans le fond d'un Sahara brumeux;
Un vieux sphinx ignoré du monde insoucieux,
Oublié sur la carte, et dont l'humeur farouche
Ne chante qu'aux rayons du soleil qui se couche."

>>>>>IIIII<<<<<

"Ho più ricordi di quanti ne avrei
se mille anni avessi vissuto.

Un grosso cassettone ingombro di bilanci,
di versi e bigliettini, di ingiunzioni e romanze,
di trecce avvolte in vecchie ricevute
meno segreti cela del mio triste cervello.
Tomba immensa, piramide che nasconde più morti
di quanti ne contiene una fossa comune.
- Io sono un cimitero che la luna disdegna:
lunghi vermi si trascinano come rimorsi
e sempre si accaniscono sui miei morti più cari.
Sono un vecchio boudoir con le rose appassite
ed una confusione di fogge fuori moda.
Pastelli lagrimosi e pallidi Boucher
respirano l'odore di un profumo svanito.

Giornate zoppe prolungate all'infinito.
Sotto i pesanti fiocchi delle annate nevose
la noia, triste figlia dell'incuriosità,
prende le proporzioni dell'immortalità.
- Non sei più nulla ormai, o materia vivente!
Solo un granito avvolto da indistinto tremore,
assopito nel fondo di un Sahara nebbioso:
solo una vecchia sfinge, che il mondo spensierato
ignora, dimenticata sulle carte.

E il suo umore selvaggio canta solo
ai raggi del tramonto.

(Traduzione libera di Paola Musarra)

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