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Storie di pipistrelli 3

"Chi ha toccato un pipistrello?"
di
Paola Musarra



settembre 2012

Nel mese di gennaio di quest'anno avete letto il primo numero di questa piccola serie sui pipistrelli, ricordate "Blasoni e orfanelli"? Eravamo partiti dallo stemma della famiglia Bateson (bat vuol dire "pipistrello" in inglese) e vi avevo promesso una breve rassegna di pipistrelli... batesoniani.

Nel secondo numero (aprile 2012) avevo lasciato la parola a Marco D'Amico, autore con Alessandra Tomassini del DVD “Storia di un orfano di pipistrello”.

Siamo ormai alla terza e ultima puntata, quindi mantengo la mia promessa.

Il primo batesoniano è il sinologo Carlo Laurenti. Desidero ringraziarlo perché ha attirato la mia attenzione sul valore positivo attribuito in Cina al pipistrello, simbolo di fortuna e felicità (longevità, salute, ricchezza, dignità, morte naturale...) grazie all'omofonia tra fu (bianfu vuol dire "pipistrello") e fu che vuol dire "fortuna" (vedi il sito tuttocina).

Con questo augurio di felicità vorrei invitare chi ancora oggi non sa trattenere un moto di ribrezzo all'idea di "toccare" un pipistrello ad avvicinarsi con simpatia a questo piccolo mammifero volante e alle persone che non hanno o non hanno avuto paura di toccarlo...

Alla Lipu con il pipistrello - foto P.Musarra
Coraggio!
foto: P.Musarra

Passiamo al secondo batesoniano. Giuliano Cannata, nel suo libro denso e complesso sulla diminuzione delle nascite (Si spegne signori si chiude, XL edizioni, Roma 2008), dopo aver ricordato che l'esistente non ha alcuna ragione in più di esistere rispetto all'inesistente, "agli infiniti possibili esistenti che non si son dati" (p.136), lamenta la mancanza "di un'accettabile condizione esistenziale, una psicologia diversa più adatta alla natura e alla condizione umana" (p.137). Come fare per non invadere maldestramente gli spazi non umani?

Ed ecco sbocciare due ricordi, legati all'infanzia dei figli.

E' sera: i pipistrelli volano nel patio zigzagando, schivando infallibilmente la palla che i bambini lanciano per verificare l'efficienza del loro radar... Più tardi, un tramestio nel corridoio: la gatta si mette a correre e a saltare, sembra aver afferrato qualcosa di vivo... è un piccolo pipistrello:
"Me lo consegnò come farebbe un cane da riporto: in mano sembrava morto poi si riprese dallo scempio, spiccò due tentativi di salto dalle mie mani, al terzo volò, imboccando con molta sicurezza ed eleganza la finestra." (ibidem).

Ma non sempre la "specie dominante" imbocca la strada giusta nel rapporto con gli animali non umani. Dopo aver scoperto due piccoli pipistrellini appena nati nella manica di una giacca, Giuliano con i suoi figli tenta di allevarne uno somministrandogli gocce di latte.

Le cose sembrano andar bene, il piccolo cresce nella sua scatolina, i bambini studiano i suoi progressi, ma...
"Una mattina non lo trovai nella scatola. Con terrore vidi un'ombra nera nel latte del bicchiere: si era arrampicato fin sul bordo del bicchiere, era affogaro nel latte. Per i ragazzi il trauma, la rabbia fu indimenticabile, verso di me, la mia fatale goffagine..." (p.139)

E Gregory Bateson? Lui sapeva accostarsi con infinita grazia alle molteplici manifestazioni della natura, senza mai separare il momento dello studio e della riflessione scientifica, altamente pedagogica, dal godimento estetico e dalla tenerezza (l'"obliqua tenerezza"...) per il vivente.

Eccolo nel ricordo della figlia Mary Catherine (Con occhi di figlia, Feltrinelli, Milano 1985, p,49):
"Aveva un genio particolare per scoprire gli esseri viventi. Se vedeva nei boschi una parte scrostata di corteccia, a fianco di un albero morto, si avvicinava e trovava un pipistrello con un piccolo muso feroce, in posizione per il sonno diurno. Imparai a prenderli, saggiando i piccoli artigli tenaci e trattenendoli dal prendere il volo dal palmo della mia mano."

Per finire, aggiungo due ricordi personali. Il primo risale alla mia infanzia. Mio padre non voleva che io fossi "la bambina di città" che si mette a urlare se vede un moscone, perciò mi portava spesso "fuori", appollaiata sulla sua bicicletta. Andavamo a Villa Glori, sull'Appia Antica, ai Castelli Romani... Mi arrampicavo, mi sbucciavo le ginocchia, scoprivamo insieme un mondo fatto di grilli, formicai, lucertole (mi insegnò ad acchiapparle con un cappio erbaceo), cicale...

Eravamo un giorno nel parco di Ariccia, allora piuttosto selvaggio, l'ideale per le esplorazioni. Mio padre raccolse un pipistrello morto. Lo teneva sul palmo della mano e mi invitava a toccargli la pelliccetta, a saggiare la consistenza pergamenacea delle ali. Anch'io ricordo il piccolo muso feroce...

Alla Lipu: l'ala del pipistrello - foto P.Musarra
... la consistenza pergamenacea...

Il secondo ricordo risale a poco tempo fa. Durante la presentazione al Museo di Zoologia del video di Marco ed Alessandra ho avuto la possibilità di toccare un pipistrello VIVO! Ho ancora sulla punta delle dita il ricordo preciso di quel contatto. Vibrava come un piccolo motorino ronzante. Aveva freddo? Scaldava i muscoli? Raccoglieva le forze per spiccare il volo? Non lo so. Bisognerebbe chiederlo al pipistrello o a Thomas Nagel: What is it Like to Be a Bat?

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Per saperne di più, andate a vedere il sito www.pipistrellus.it



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