Venerdì 16 ottobre 2009 alla Casa Internazionale delle Donne di Roma Marilde Trinchero ha presentato il suo libro La solitudine delle donne, Edizioni Magi, Roma 2008.
Accanto a lei c'erano Flavia Rubini (blogger), Ornella Fantini (ostetrica) e Aurora Morelli (psicoanalista).
Marilde Trinchero vive ad Alba, è arteterapeuta (fa parte dell'Associazione Professionisti Italiani Arte Terapeuti - A.P.I.Ar.T.) e si occupa prevalentemente di tematiche femminili legate alla creatività e alla maternità. Il suo libro, pubblicato nella collana "Parole d'altro genere" a cura di Elena Liotta, si propone di raccontare a tutto tondo l'esperienza della maternità, prendendo in considerazione anche quegli aspetti che esulano dal mito superficiale della madre "eternamente appagata e felice".
Molte donne infatti (non tutte, per fortuna) convivono con alcune emozioni negative legate alla maternità: depressione, rabbia, amarezza per mancate realizzazioni professionali, stanchezza e - soprattutto - solitudine. Ma la società continua a riproporre le immagini luminose di donne che si dedicano con abnegazione al loro bambino, sentendosi pienamente realizzate nel loro essere madri.
Nasce allora insidioso il pensiero: "Cosa c'è che non va IN ME? Forse non sono all'altezza del mio compito, forse sono INADEGUATA...".
Fatto sta che le donne, sul tema della maternità (voluta o negata), sono immerse in un mare di stereotipi.
Ascoltiamo Marilde Trinchero:
"Ciò che mi ha sempre lasciato perplessa riguardo alla maternità è la spaccatura esistente tra la realtà dell'essere madre e lo stereotipo sociale, tuttora troppo diffuso, accompagnato da una retorica che, se non riconosciuta e contrastata, crea sofferenza e provoca un senso di inadeguatezza. E' un tema che in un modo o nell'altro tocca ogni donna. Sia che scelga di essere madre o che scelga di non esserlo; sia che rimanga incinta 'per caso' e decida di tenerlo o che scelga di abortire; sia che lei o il suo compagno non siano fertili; che ci sia un aborto spontaneo o che un bambino nato, viva per un certo periodo di tempo e poi muoia. Ognuna di queste strade, scelte o subite, lascerà dei segni che caratterizzeranno la trama dentro cui la donna si muoverà nel mondo." (p.20).
E' difficile non riconoscersi in almeno una di "queste strade". Marilde, per motivi di spazio, nel libro si occupa solo di quelle donne che hanno avuto dei figli, ma è comunque importante notare che la forza malefica degli stereotipi investe ogni donna.
Purtroppo, gli stereotipi non si annullano con un atto di volontà. Si può tuttavia tentare di "stare meglio": è importante ad esempio riconoscere e contrastare la retorica che accompagna ogni stereotipo, come propone Marilde. Ciò può avvenire facendo arteterapia, cioè riunendosi in gruppo per dipingere, ritagliare, incollare e comporre la propria scena interiore (nel libro ci sono numerose illustrazioni); oppure raccontandosi in un blog e riconoscendosi in altre donne per "riscrivere il concetto di maternità" (Flavia), distruggendo il mito della madre sacrificale (nella realtà, una madre è sempre in bilico "tra madre Teresa e Jack lo Squartatore"...)
Come non pensare a quanto ho scritto in settembre su MeDea "fuori dal mito"?
Certo, ci vorrebbe una società che "facesse da madre alle madri", ma ben conosciamo le carenze di fondi per le famiglie, per gli asili e le scuole materne... per non parlare di tutto quello che (non) succede alle madri nel mondo del lavoro.
Ornella, ostetrica da venticinque anni, mette l'accento sulla necessità di organizzare "corsi di accompagnamento" non solo per le gestanti ma anche per le puerpere. Altrimenti, dopo un paio di giorni... allez hop, fuori dall'ospedale, a casa, da sole con il pupo...
E' vero, la società deve capire che un bambino è un bene sociale, ribadisce Aurora: la solitudine della madre è in realtà una crisi sociale, per non parlare dell'eccessiva medicalizzazione della maternità, che non ha fatto che produrre più solitudine. Vanno curati i processi di separazione e di individuazione per (ri)acquistare una identità come soggetto desiderante...
Il dibattito è molto animato e solleva problemi interessanti: la diversa concezione della maternità nei paesi nordici e nei paesi "mediterranei", il ruolo dei padri, il ruolo delle nonne, la giusta distanza...
Ed io penso al bellissimo libro di Elvira Reale Prima della depressione, del quale vi ho dato notizia a febbraio del 2008.
Penso anche ad alcune donne che mi hanno raccontato il loro dramma, la loro terribile "solitudine". Perché ho messo le virgolette? Perché anche nel cuore di una famiglia numerosa, con madri nonne sorelle cognate, una donna può sentirsi molto sola se si sente inadeguata, se di notte sogna che le portano via il suo bambino perché lei non è capace di allevarlo.
C'è poi chi trascorre da sola le sue giornate in un ambiente ostile o comunque indifferente, murata in casa alle prese con i piccoli, con un marito sempre assente, che rientra la sera distratto... Ahi, Medeuzza! Ci vogliono nervi saldi.
Un ricordo personale. Mia madre mi raccontava che la sua gravidanza (sono figlia unica) era stata il periodo più felice della sua vita, ma poi... Un parto lungo e difficile (il forcipe!), io che piangevo sempre anche di notte perché il suo latte era troppo denso (le ragadi!). Lei veniva continuamente vicino alla mia culla per controllare che non fossi morta soffocata (paura-desiderio? Ahi, Freud!).
Devono essere stati mesi terribili per lei, così bloccata nell'affrontare temi profondi (e poi, a chi poteva parlare? A un marito giudicato superficiale? A sua madre che non amava?). La immagino rappresa nel suo silenzio, sotto una crosta di ghiaccio.
Sono "inadeguate" queste madri? Si devono colpevolizzare?
E se invece la rivendicassero, questa "inadeguatezza", portando clamorosamente alla luce il proprio disagio?
"Ebbene sì, sono INADEGUATA, nel senso che NON MI ADEGUO, non accetto di sopportare da sola al tempo stesso le esigenze del bambino e quelle della MIA VITA. Rivoglio me stessa, devo essere aiutata!"
Cercare aiuto, dunque, senza arroganza ma anche senza sensi di colpa e senza sciocche presunzioni (tipo: "Ce la posso fare da sola, devo farcela!"). Cercare aiuto nella Rete, nelle piccole reti amicali, nei gruppi terapeutici, nel rapporto con il proprio compagno o marito...
Questo a livello individuale. A livello collettivo, è necessario impegnarsi a tutti i livelli affinché la società diventi davvero "madre per le madri".
Marilde Trinchero così conclude il suo libro:
"E la realtà è che se cantando, raccontando, scrivendo, intonando cori diversi dal passato, semplicemente perché veri, si allentassero la solitudine e la fatica delle madri, sarebbe già un ottimo risultato."
