Prima parte
Possiamo definirlo " octopus" (titjan) o "mutante" (emi, che lo ha incontrato al Salone del libro di Torino), fatto sta che Giuseppe O. Longo su MeDea è di casa: accogliamo sempre con interesse le sue inquietudini, ci piace la sua ansia, il suo timore che la voce del corpo sia messa a tacere.
Ci piace anche tanto che il suo sguardo preoccupato su Internet cominci a colorarsi di una timida speranza, di fiducia nelle "piccole reti amicali", come ha affermato ad una conferenza al CIDI dell'ottobre 2001 (ringrazio Rosanna Angelelli della redazione di "Insegnare" per la trascrizione): "dobbiamo fare i resistenti, resistere sì, ma
non da soli, l’individuo è la base, è il punto di riferimento, ma non
l’individuo isolato, bensì l’individuo inserito nelle piccole reti amicali, che
discutono di problemi che stanno a cuore di un piccolo gruppo." E a volte (ma questo sono io a dirlo) i piccoli gruppi non sono gruppi piccoli...
Alle mie riflessioni sul precedente libro di Longo, Homo technologicus, avevo dato il titolo "Il cervello ha molte bocche", alludendo ai molteplici registri linguistici di cui Longo è padrone - e maestro.
Mi sono quindi avventurata (il termine è appropriato, credetemi) nella lettura degli Avvisi ai naviganti (Mobydick, Faenza 2001, Euro 11.36) con una particolare predisposizione a cogliere la pluralità di voci che ne animano la scrittura.
E ho notato che in questo volume di racconti, ancor più che nelle precedenti raccolte, la misura breve sottolinea l'intreccio di numerosi fili, che tramano il tessuto narrativo.
Il gioco dell'identità, il respiro (ampio o breve, scandito o rapinoso) della frase, le stratificazioni spazio-temporali - tutti questi elementi, fusi in un contrappunto armonioso o dissonante, contribuiscono a creare sinestesie complesse e immagini di una disorientante ambiguità. E quando la voce di Longo si fa voce di donna, rabbrividiamo, come se avesse sorpreso una nostra segreta, nascosta intimità.

Nel 1992 si tenne a Trieste un convegno internazionale sull'ambiguità organizzato dal Laboratorio Interdisciplinare Superiore di Studi Avanzati (LISSA).
Nella sua introduzione agli Atti del convegno (pubblicati a cura di G.O.Longo e C.Magris, Moretti & Vitali, Bergamo 1996), dopo aver sottolineato che nel linguaggio della comunicazione scientifica si cerca, per quanto è possibile, di rimuovere l'ambiguità, Longo sostiene che, all'opposto, nel linguaggio narrativo, e ancor più nel linguaggio della poesia,
"l'ambiguità ha una funzione importante, poiché serve a moltiplicare i significati, le metafore, le allusioni implicite ed esplicite. Qui l'ambiguità contribuisce al valore estetico dell'opera consentendone una pluralità di interpretazioni, nessuna delle quali a priori può arrogarsi il titolo di unica corretta." (p.5)
Non è quindi certo una "interpretazione" che voglio proporvi, secondo i canoni della critica letteraria, al contrario.
Vorrei invitarvi invece ad accettare il disorientamento (e a volte il disagio) provocato da questa scrittura inquieta, instabile, pluridimensionale, seguendo però i fili della trama che la sorregge.
Gli strumenti linguistici che lo scrittore ha a sua disposizione sono come quegli attrezzi teatrali (macchine, carrelli, riflettori) che producono determinati effetti sulla scena, sono come le righe in codice del programma che sta dietro alle pagine che visualizziamo sullo schermo del computer.
L'abilità dell'autore consiste nell'utilizzare questi strumenti senza che chi legge ne abbia immediata coscienza.
Ma noi possiamo "attraversare" la superficie leggibile dell'opera per andare a scrutare l'intrico di cavi elettrici che le forniscono energia.
Nel lavoro di Longo queste innervazioni sono innumerevoli. Vediamone insieme alcune.

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