Il regista Giuseppe Rocca, che già avete incontrato più volte su MeDea, mi ha segnalato il romanzo di Alessandra Comerio, Malamata (ediz. Carte Scoperte, Milano 2006).
Olio di G.Maiotti (dalla copertina)
E' una storia al tempo stesso dolorosa e pacata. La madre della protagonista, la grande Emma, è una figura insolita: vediamola in alcuni frammenti del romanzo.P.M.
La grande Emma
da
Malamata di Alessandra Comerio
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"... Mi piace ricordarla col suo nome, piuttosto che chiamarla mamma. Grande lo era, quasi un metro e ottanta. A me, poi, da piccola sembrava immensa, una 'gigantessa' svettante su dei tacchi altissimi e aguzzi come lame. Appariva in una nuvola di seta azzurra e profumata sulla porta dell'orfanotrofio dove ho trascorso i primi anni della mia vita. Si materializzava la domenica durante il canonico orario di visite, e mi stampava sulle gote baci che spero fossero carichi di senso di colpa. Ci teneva che io la ricambiassi ..." (p.13)
"... Con frequenza annuale mamma si dilettava a foderare il divano, che lei chiamava sofà, con i più svariati tessuti: seta, rayon, lana, nylon, cotone, pizzo e persino (mi vergogno ma devo scriverlo ugualmente) finto pelo. Tutti possedevano una caratteristica comune: erano rigorosamente fiorati, compreso quello di finto pelo..." (p.9)
"... La grande Emma impallidì, poi allungò una mano per schiaffeggiarmi, ma strada facendo cambiò idea. La portò al volto per nascondere la vergogna delle lacrime e a colpire se stessa. Poi voltò il suo groppone di cavalla da monta e, improvvisamente ingobbita, uscì dalla mia camera ..." (p.30)
"... l'avevo perdonata, quel giorno lontano, quando mi confessò di aver fatto la puttana. Più tardi, un po' alla volta, durante gli ultimi mesi della sua vita, sono arrivata anche ad amarla. Piano piano, accudendola, come fosse stata una bambina, come fosse stata la mia delicata creatura. Quando, alla fine, dovemmo ricoverarla in ospedale, la grande, formosa Emma era diventata sottile, un lungo fuscello dal cuore grosso di cardiopatica. Io, incollata al suo letto, mi allontanavo da lei a malincuore, durante le poche ore in cui Gino mi dava il cambio. Giorno dopo giorno, osservavo il suo viso deformarsi. La pelle diventava grigia, le labbra sempre più blu, il respiro leggero, fruscio di vita che si allontana. Le tenevo la mano, per scaldarla e per trattenerla, le mettevo sulla bocca la maschera per l'ossigeno, le spazzolavo i capelli - non volevo che morisse brutta - le leggevo i giornali più stupidi che riuscissi a trovare. Di tanto in tanto uscivo dalla stanza, piangevo, fumavo, bevevo litri di caffè, e tornavo dentro con un bel sorriso ..." (pp.55-56)

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