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"Passa la nave mia colma d'oblio..."

di
le cose che ho scritto per MeDea
Odilon Redon, La barque mystique
Odilon Redon, La barque mystique

Passa la nave mia colma d'oblio
per aspro mare, a mezza notte il verno,
enfra Scilla e Caribdi; et al governo
siede il signore, anzi ‘l nimico mio;

a ciascun remo un penser pronto e rio
che la tempesta e ‘l fin par ch’abbi a scherno;
la vela rompe un vento umido, eterno
di sospir, di speranze e di desio;

pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni
bagna e rallenta le già stanche sarte
che son d’error con ignoranzia attorto.

Celansi i duo mei dolci usati segni;
morta fra l’onde è la ragione e l’arte,
tal ch’i ‘ncomincio a desperar del porto.

Francesco Petrarca, Canzoniere, 189.




   I critici si sono accaniti su questo sonetto, tirandolo da tutte le parti, squartandolo, vivisezionandolo per estrarne senso, o meglio, per trarne fuori quel senso che avevano deciso di attribuirgli.

   A parte le discussioni sulla parola “porto” dell’ultimo verso (rappresenta Dio? La donna amata? La gloria letteraria?) i problemi riguardano soprattutto la parola “oblio”: ha un senso attivo o passivo? E’ il poeta a dimenticare (la retta via) o a esser dimenticato (dall’oggetto amato)?

   Ma non è tutto: normalmente è l’acqua (il fiume Lete, il mare) a rappresentare metaforicamente i neri abissi dell’oblio, mentre questa volta è la nave stessa ad essere “colma d’oblio”: sgomento dei critici, che si vedono imbrogliare le carte…

   Eppure la limpida parola del poeta evoca un’immagine così nitida, così precisa nei suoi particolari: un vascello fantasma, spinto dal desiderio e dalla speranza, disegna coraggiosamente la sua rotta, con l’amore al timone e la sfida ai remi, tra Scilla e Cariddi.

   Ma ecco, già la vela si lacera, una pioggia di lagrime e una nebbia funesta appesantiscono i cordami, nascondono le stelle: tutto è ormai solo ignoranza, errore, disperazione

   Da qualche tempo l’immagine di quella nave in pericolo mi assedia: le mie riflessioni sulla memoria, la storia, l’identità e l’oblio hanno risvegliato creature mostruose che risalgono minacciose dagli abissi: l’ignoranza, l’errore, la disperazione

   Il momento politico che stiamo vivendo richiederebbe prese di posizione nette, forti, lucide, per disinnescare gli attacchi incessanti contro la nostra morale laica, contro i diritti e la dignità di chi non può o non sa difendersi, contro la nostra esigenza di giustizia, il nostro desiderio di libertà responsabile, di cultura condivisa, di pienezza sessuale.

   Come reagiscono le donne?

   Purtroppo le loro reazioni molto spesso non sono né nette né forti né lucide.

   Cerchiamo di vederci chiaro.

   Da qualche tempo sto assistendo ad un graduale indebolimento, a un deterioramento, diciamo addirittura ad una degradazione della capacità di intervento delle donne (tranne rarissime eccezioni) a tutti i livelli: vita privata, posto di lavoro, ambienti culturali e politici, comunicazione.

   Questa degradazione può avere come prima manifestazione un oblio totale – una totale ignoranza – della storia e delle lotte che hanno caratterizzato i movimenti di liberazione delle donne (e degli uomini!), come se uno se ne dovesse vergognare, il che comporta un appiattimento su interessi economici e fatti contingenti, senza storia. Le famiglie non hanno più memoria, il mobbing impazza a letto e sul lavoro, il prêt-à-porter pseudoculturale pervade i media: si accetta tutto senza reagire. Eppure, già nel Settecento una donna sapeva come servirsi dei mezzi di comunicazione allora disponibili per difendere e diffondere le sue convinzioni…

   Ma la degradazione-degrado di cui ho parlato può anche esprimersi attraverso altre reazioni aberranti: invece di elaborare lucide strategie di intervento politico, di preparare documenti da far circolare (gli avversari non sono certo sprovveduti!), le donne si perdono troppo spesso in sterili polemiche, a volte con toni isterici, che comportano la loro automatica esclusione dai luoghi in cui si prendono le decisioni importanti.

   E ancora più spesso queste polemiche si fanno – ahimé – tra donne: ciò che ho letto fra le righe a proposito del colloquio romano sull’identità (“vecchie” femministe contro femministe giovani) e ciò che Gabriella Alù ci riferisce questo mese a proposito del disagio della politica (il contrasto fra le donne che operano all’interno delle istituzioni e quelle che preferiscono restarne fuori) mi ha veramente avvilito: quanto tempo sprecato nei dibattiti!

   Possibile che sia più importante rivendicare delle priorità, proclamarsi come le uniche, le sole “vere” femministe, piuttosto che lottare concretamente insieme contro questa marea montante di clericalismo, neoguelfismo, neorevisionismo privo di cultura storica?

   Ma non è tutto. Le polemiche di cattiva lega (ben altrimenti utili sono le discussioni che servono a chiarire, a costruire) tra donne trovano il loro terreno privilegiato su internet, all’interno delle liste di discussione (ricordate “Sebben che siamo donne”?) ma anche, anzi soprattutto, nella posta elettronica, quando viene utilizzata all’interno di un gruppo.

   La meravigliosa possibilità di spedire nello stesso tempo (e in tempo reale) un solo messaggio a parecchie persone provoca in alcune donne effetti nefasti: la presenza di un pubblico silenzioso, invece di rendere più fluida e immediata la comunicazione, le spinge troppo spesso, ahimé, a parlare a nuora perché suocera intenda. Le altre… “nuore” perdono il loro tempo (ancora una volta: che spreco!) a schivare proiettili che non erano indirizzati a loro. Quando queste “prime donne” si scatenano, io mi defilo per non infettarmi: si tratta infatti, anche in questo caso, di una vera e propria malattia della comunicazione.

   Ignoranza, errore… disperazione. Sì, ci sono anche donne disperate. Non ignorano il passato, non schiamazzano istericamente, non attaccano le altre donne, ma hanno spesso la sensazione di non saper reagire in modo adeguato quando vengono attaccate. Si sentono sprovvedute, si colpevolizzano e preferiscono restare in silenzio perché non sanno argomentare.

   Mie carissime, la nostra nave rischia di affondare, siamo in pericolo: che vogliamo fare?

   Per salvare “la ragione e l’arte” io ho solo due rimedi: la lettura (in senso lato, anche un giro in città o un viaggio è una “lettura”) e la scrittura.

   Sì, lo so: docens in æternum, me lo ha già detto titjan nella nostra discussione di questo mese, accusandomi di puntare tutto sulla cultura.

   Ma sul vuoto culturale non si elabora nessuna strategia.

   Ed io vorrei poterle condividere con voi, queste lucide strategie per combattere tutto ciò che ci soffoca e ci costringe a fare marcia indietro.

   Ecco perché vorrei parlarvi di due libri che forse potrebbero aiutarci in questo lavoro di elaborazione comune.

Perelman,Olbrechts-Tyteca, Trattato dell'argomentazione   Il primo ci insegna ad argomentare.

H. Weinrich, Lete   Il secondo ci parla dell’arte dell’oblio.

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