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Tre donne
nelle pagine di Giuseppe O. Longo
Seconda parte
Irma

di 
Paola Musarra

 

 
Prima parte
Terza parte

Sabato 24 gennaio 2009, presso il CESV di Roma, il Circolo Bateson ( sempre lui), ha organizzato un incontro con Giuseppe O. Longo , che ha letto alcuni brani tratti dai suoi libri.
Enrico Castelli Gattinara ha finemente analizzato il suo recente volume
"Il senso e la narrazione" (Springer-Verlag Italia, Milano 2008), io ho scelto tre donne nelle pagine di Longo che, in modi diversi, sfuggono alla presa, si sottraggono.
Vi presento la seconda di queste donne
.
P.M.


Seconda parte - Irma

La prima edizione del primo romanzo di Longo, Di alcune orme sopra la neve, recentemente ristampato (ed. Mobydick 2007), risale all'ottobre del 1990.
E' la storia di un giovane fisico, Enrico Hecker, ospite in un Centro di Ricerca situato in mezzo a una landa desolata. Enrico si accorge di un particolare davvero strano: la mappa del Centro che gli è stata fornita dalle autorità contiene degli errori. Si propone allora di ridisegnarla.

... di alcune orme... Mobydick

Ma il territorio sembra sottrarsi ai suoi ripetuti tentativi, facendolo più volte smarrire in luoghi inquietanti, facendogli incontrare personaggi simbolici, frustrando continuamente il suo sforzo disperato di "trovare un senso e una struttura in un magma informe e fuggevole".

Durante una delle sue peregrinazioni, in un pomeriggio ventoso dal cielo limpidissimo, mentre prende appunti sul suo taccuino in uno spiazzo fuori mano, vicino a una fila di baracche, sente all'improvviso uno scrosciare d'acqua alternato a tonfi sordi, "come di panni che venissero sollevati e sbattuti nel bucato". Si incammina verso quei rumori e penetra attraverso un varco in un grande cortile.

Al centro, c'è una donna che lava i panni in una grande tinozza di legno. Lo vede, smette di lavare, lo saluta con cordialità. La donna abita proprio lì, ha un marito e due figli, la fatica non la spaventa.

Poi tocca ad Enrico dire dove abita e che cosa fa, ma la donna sembra ignorare l'esistenza del Centro e si distrae quando lui cerca di spiegarle il suo lavoro di ricercatore.

Allora Enrico le mostra il taccuino con gli appunti: "Sa, devo fare una carta del Centro." Lei s'illumina: "Ah, ho capito, una carta, sì, una... Come si dice? una mappa!".

Intanto dalle case escono donne e bambini. Enrico si chiede in che modo potrebbe inserire quegli esseri così complicati e mutevoli nella sua mappa, che senza di loro sarebbe comunque incompleta.

"Ma perché fa questa mappa?" chiede la donna guardandolo con occhi nerissimi e fondi. "Per orientarmi, per non perdermi...". "Ma nessuno si è mai perso qui!" Una delle donne chiama forte "Irma! Irma!" con aria di rimprovero. Lei deve andare, lui la prega di attendere ancora un momento. La guarda negli occhi di velluto nero, parlando in fretta:

'Vede, se una carta non è precisa ci può tradire, può farci andare incontro al pericolo. Senza una guida sicura non si può stare, altrimenti quando andiamo lontano, quando lasciamo i posti che conosciamo, chi ci indica la strada, chi ci insegna dove andare?'
Ma mentre diceva queste parole sentì con dolorosa precisione che erano sbagliate e che la verità si trovava in ciò che gli avrebbe risposto Irma: 'Perché dovrei lasciare i luoghi che conosco? Per andare dove? Ciò che conosco mi basta. Tutto è qui.'
Ora anche i bambini avevano fatto gruppo intorno alle donne e si erano messi a gridare in coro: 'Irma! Irma! Ir-mà! Ir-mà!'
Allora Irma si voltò e corse verso le compagne, si confuse in mezzo a loro nella sera che avanzava. Enrico alzò gli occhi al casamento e vide che tutte le finestre erano spalancate e molti visi l'osservavano con una fissità malevola.
Uscì dal cortile per il varco da dove era entrato e tornò sullo spiazzo, dove il vento nel crepuscolo rinforzava. In lontananza si udivano i bambini che continuavano a gridare in coro: 'Ir-mà! Ir-mà!'
(p.158)

Alla fine del romanzo - una fine drammatica, mi ha fatto pensare alla scomparsa di Robert Walser - dopo un ultimo tentativo di decifrare i simboli tracciati sulle sue carte, Enrico si lascia andare, si abbandona ad un torpore mortale.

'E disse piano: 'Irma, dove sei, Irma?' e pronunciando questo nome sentì una calma dolcissima, come quando aveva fissato i suoi occhi bruni e terrestri, dai quali gli era stato così difficile staccarsi. In quella donna bella c'era non so che profondità di amore e di pace, non so che sapore di affetto, di tanto tempo fa, di quando si è piccoli e intorno cresce il buio, ma si sta sul seno morbido che ci protegge e ci culla...' (p.253)

... che ci protegge e ci culla...

E' un rimpianto dolcissimo del passato, la nostalgia di un ricordo remoto, struggente.
Per chiudere il cerchio, dopo aver letto queste righe dal capitolo conclusivo del romanzo, leggiamone alcune dall'esergo:

'... di quando in quando qualcuno, dentro il suo minuscolo universo che rotea negli spazi dell'altro più grande e vero universo, tende l'orecchio e crede di udire un certo canto e un'armonia che vengono da un tempo così lontano che il tempo non c'era ancora.
Ma forse quel canto è solo nel suo cuore.'


all'inizio

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Prima parte

 

mise en page:
Paola Musarra


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