Roma, maggio 2016
Giuseppe O. Longo ha riunito in un suo recente volume ("Antidecalogo", Editoriale Jouvence, Milano 2015), dieci racconti, alcuni inediti, altri già pubblicati. Il legame che li unisce, a volte esplicito, a volte criptico è il riferimento ai dieci comandamenti, o meglio, alla loro violazione (antidecalogo).
Qui mi soffermo sul terzo: "Ricordati di santificare le feste - Natale al Diorama", vissuto da alcuni lettori e da alcune lettrici semplicemente come un racconto di fantascienza.
Per me invece la lettura di questo racconto è stata un'esperienza dolorosa e struggente che vorrei cercare di raccontarvi.
Il racconto
Il pianeta Akkor è privo di stagioni, l'unico mutamento è l'alternarsi del giorno e della notte. Giallo, amaranto e cremisi sono i colori dominanti, non ci sono il bianco e il verde. La luce del sole è accecante, il caldo è intollerabile anche di notte, quando il cielo si accende di un lucore rossastro.
Il protagonista, Egyeb, ha bisogno di racimolare quaranta "crediti" per poter assistere allo spettacolo annuale del Diorama, uno spettacolo che evoca un evento del quale nessuno capisce più il senso: il Natale.
Egyeb è vecchio, questa potrebbe essere l'ultima occasione, fra un anno chissà... Va al banco dei pegni, consegna le sue povere ultime cose, ma ottiene solo 25 crediti. Non gli resta che ricorrere alle Arpie.
Le Arpie succhiano il sangue in cambio di crediti. Con il becco straziano la carne, la loro saliva guarisce in poco tempo la ferita, ma... crea assuefazione.
Egyeb segue un'Arpia in un vicolo maleodorante, entra in un portoncino e protende con abbandono il braccio sinistro.
Quando si risveglia ha tra le dita ben settanta crediti, l'Arpia è stata generosa e lui potrà vedere lo spettacolo del Natale anche due volte. La sala del Diorama è quasi vuota. Egyeb è pronto ad affrontare le "faticose scale" dei suoi ricordi. All'uscita, l'attende l'Arpia.
Lo spettacolo
Il sipario scorre lentamente e scopre lo schermo curvo del Diorama, uno schermo bianco. Dunque, quello era il bianco. Poi si sente un lontano tintinnio di sonagli: "Sentì una trepidazione, un palpito che gli ricordava qualcosa di lontano (...) quando tutto doveva ancora accadere." (p.40)
Lo schermo si illumina, una stella chiomata irradia un chiarore fosforico su distese di neve. Neve. E il verdescuro degli alberi, bambini in veste candida, un volo fino alla capanna di tronchi "dove in un carneo lucore circonfuso sorrideva un piccolo essere che sembrava racchiudere in sé le gioie e le salvazioni, i dolori e le promesse del mondo." (ibidem)
La visione si trasforma in una scena domestica: l'albero di Natale, due bambini con i genitori che si tengono per mano e... ma sì, uno dei bambini è proprio lui, Egyeb... "Egyeb bambino alzava le mani a mostrare il regalo e sorrideva nella bocca sdentata, come era sdentata, adesso, la bocca di Egyeb vecchio , che sorrideva commosso..." (p.41)
E io?
Io ho riletto tante volte questa frase tenerissima, con il piccolo Egyeb che mostra il regalo, e il suo sorriso sta "nella" bocca sdentata, sì, il sorriso sta là, "dentro" la bocca, i bambini piccoli sorridono così, a bocca spalancata, quando sono contenti.
E io che mi addentro ormai nella tarda vecchiaia sono il vecchio Egyeb. Quanti segnali nel racconto: le labbra secche, l'odore dei corpi altrui che si sente solo a tratti, il sole che abbaglia, la perdita dei colori - dei nomi dei colori ("qualcosa si accende e svanisce")...
E l'ostinazione a voler vedere il Diorama, a voler frugare nei ricordi (le "faticose scale") risvegliando schegge luminose che si piantano nel cervello e scavano, scavano....
Così da vecchi si santificano feste, anniversari, ricorrenze, pensando a chi non c'è più e a chi non c'era ancora.
Quale Arpia mi aiuterà ad affrontare questo Diorama atroce e struggente?
Ma certo! Come ho fatto a non pensarci? Chi o meglio che cosa sono queste Arpie che mi entrano nel corpo e nel sangue, mi straziano ma mi guariscono, mi guariscono ma mi incatenano perché mi danno assuefazione?
Sono le mie odiosamate protesi biochimiche, sono tutte le medicine che prendo, in un continuo ansioso promemoria che scandisce le mie giornate: "No, questa non la prendo, mi spegne il cervello", "Oddìo, ho fatto passare l'ora...", "Dove ho messo le pasticche della sera?", "Ho finito il betabloccante e la farmacia è chiusa... ah, no, eccolo!".
Coraggio, andiamo a vedere il Diorama! L'Arpia ci aspetta fuori.
|
|