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Il cervello ha molte bocche

di 
le cose che ho scritto per MeDea

 

 
Viene un tempo in cui alla voglia di raccontare si sostituisce la voglia di raccontarsi.

E qui sorge il problema, perché il cervello ha molte bocche e tutte vorrebbero raccontarsi: una vorrebbe immalinconirsi sul passato, l'altra immaginare un futuro che non le appartiene, un'altra vorrebbe cantare l'indicibile voluttà del pensiero cristallino, un'altra ancora intenerirsi su piccole cose e brevi istanti di parziale, umanissimo godimento.

Come si reagisce di fronte a tante voci contrastanti?

C'è chi ne isola una, la più potente, e mette a tacere con soffocanti bavagli tutte le altre; c'è invece chi le lascia cantare tutte, assumendosi la responsabilità di un coro a volte dissonante, a volte ricco di organizzati contrappunti, a volte sorprendentemente armonioso. 

Giuseppe O. Longo, Homo technologicus

Questa è l'avventura intellettuale alla quale ci invita con il suo Homo technologicus (Meltemi, Roma 2001, lire 30.000 - da ora in poi: HT) Giuseppe O. Longo, questo "battitore libero della via intellettuale", che ha saputo compiere "un atto di libertà nell'università delle obbedienze e degli adeguamenti intellettuali" (Vincenzo Cappelletti).

Chi segue MeDea già lo conosce; titjan, dal canto suo, lo ha recentemente decorato con la massima onorificenza di octopus

Nella limpida introduzione Longo (che è ordinario di Teoria dell'informazione all'Università di Trieste) rende omaggio alla sua formazione di scienziato: "non ho saltato nessuna tappa del tirocinio scientifico e della pratica di ricerca." (HT, p.32) 

Già intuiamo che questa sarà una delle "bocche" alle quali dovrà concedere la parola. "Ma proprio perché la conosco dall'interno non posso fermarmi alla razionalità: sento il bisogno di andare oltre, senza preoccuparmi troppo delle critiche di chi si sente già arrivato e sta bene nella casa del rigore scientifico." (ibidem) 

Oltre la razionalità pura e dura, dunque: ecco uno scienziato che non ha paura di varcare la soglia e uscire dalla cittadella protetta, dalla torre d'avorio, per andare... dove? Verso quella zona critica che il rigore scientifico del mondo accademico ha sempre escluso, verso la "sensazione della pienezza malinconica e potente della vita, che non può mai limitarsi all'argomentazione rigorosa e che non può mai abbandonarsi del tutto alla poesia, ma cerca con forza, instancabilmente, di mostrarsi una, indivisibile, intera eppur variegata, esploratrice di abissi e di ricchezze. Come dovrebbe essere ogni persona." (HT, p.33)

Bene, se questa vuol essere una captatio benevolentiae preliminare, debbo dire che mi cattura e mi predispone ad una benevolentissima lettura di un libro difficile, scritto con sofferenza e trepidazione.

Con altrettanta trepidazione, infatti, ci si addentra in questa disincantata ma appassionata meditazione filosofica sul nostro tempo, sull'evoluzione della tecnologia e sul tragico destino evolutivo "che ci guida nostro malgrado e che ci ricaccia sempre nell'urna della cieca lotteria del caso." (HT, n.3 p.33)

E le bocche ci parlano senza tregua, sovrapponendosi sapientemente...

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