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Il bambino che impazzì d'amore

incontro con
Giuseppe Rocca

a cura di
Paola Musarra



disegni: Giuseppe Rocca
(storyboard)

traduzione
e mise en page:
Paola Musarra

versione francese:
versione francese




Il film di Giuseppe Rocca "Lontano in fondo agli occhi" presentato quest'anno a Venezia, uscirà ufficialmente nelle sale cinematografiche nel mese di gennaio 2001.

Chi segue MeDea già conosce Giuseppe Rocca: nel 1999 gli avevo dedicato una Infoperlina per farvi conoscere i suoi bellissimi disegni, ma anche per parlare con lui della scrittura al computer.

La sua prima sceneggiatura elaborata utilizzando un programma informatico di scrittura gli aveva infatti consentito di modellare il proprio discorso con maggiore libertà; con quella sceneggiatura, Giuseppe aveva vinto il premio Solinas.

Ugo Pirro, che faceva parte della giuria e si era battuto per fargli assegnare il premio, era caduto dalle nuvole quando Giuseppe si era presentato per ringraziarlo: era infatti convinto, per la finezza di alcuni particolari e la morbidezza della scrittura, che la sceneggiatura fosse stata scritta da una donna.

E adesso quella sceneggiatura è diventata un film, il primo film di Rocca, scrittore e regista teatrale.

"Lontano in fondo agli occhi" racconta la storia di un bambino che pian piano impazzisce per l'amore che gli ispira una giovane servetta smaliziata, fino al punto di uccidere un uomo, il rivale.

Intorno al bambino alcune donne (è un film essenzialmente di donne) intessono la trama e l'ordito di un tessuto delicato, resistente e protettivo come un bozzolo, lacerato però da strappi improvvisi, che aprono visioni parallele, insostenibili, e marcano il passaggio dall'infanzia all'adolescenza impura.


e il bambino schiude la porta / et l'enfant ouvre la porte

Sullo schermo, stracci pendono dalle travi del soffitto come tele di ragno, e in un dedalo di porte e di passaggi si aprono fessure nelle vecchie pareti screpolate: un buco rotondo, osceno, si trasforma nell'occhio implacabile di un proiettore cinematografico.

La vecchia casa di famiglia e l'ombra che essa proietta sulla memoria nascondono innumerevoli recessi segreti, ove il bambino può nascondersi senza essere visto, proprio come la cinepresa, che è invisibile ma ci offre il suo sguardo.

Il film è stato girato a Sant'Agata dei Goti, un piccolo centro a una cinquantina di chilometri da Napoli (Giuseppe è napoletano). Tutti i paesani si sono trasformati in trovarobe e hanno collaborato alla riuscita dell'ambientazione: vecchi mobili, santini, oggetti della vita quotidiana...

Giuseppe ha saputo ricostruire il fascino un po' soffocante delle vecchie case borghesi della piccola borghesia napoletana degli anni '50: la stanza delle nonne stipata di mobili, i pasti interminabili con le donne sempre in piedi indaffarate tra cucina e sala da pranzo con l'unica preoccupazione di rimpinzare di cibo convitati a volte recalcitranti: "Mangia! Che fai, non mangi?"

Mi rendo conto che sto sovrapponendo i miei ricordi personali alle immagini del film: mia madre, mia nonna, le loro zie e cugine, tutte napoletane, tutte bravissime in cucina, attribuivano al rituale dei pasti un'importanza quasi magica. Bisognava mangiare tutto, per non attirarsi l'odio degli dei: "Finisci la minestra! Gesù piange!".

Il film è immerso nel dialetto napoletano come un babà nel rhum: mi dispiace veramente per chi non è stato cullato fin dalla più tenera infanzia da queste dolcissime cadenze.

Prima di lasciare la parola a Giuseppe, vorrei evocare due momenti molto intensi del film.

Nel primo, la mamma del bambino (Giusi Saija) aspetta il marito che dovrebbe arrivare con la corriera della sera.... lei prende il bambino in braccio/elle prend son enfant dans ses bras... Ha appuntato una spilletta sul bavero del cappottino, si è messa gli orecchini, un po' di rossetto. Ma i suoi occhi smarriti già ci dicono che la sua attesa sarà delusa. In silenzio prende in braccio il bambino, la corriera arriva, scendono alcuni passeggeri che si allontanano rapidamente nel buio.

Seconda scena. Il bambino a scuola si distrae durante il dettato, che la sua meticolosa maestra (Milena Vukotic) sta snocciolando lentamente, appoggiando la voce su ogni parola. La maestra si avvicina severa, vorrebbe rimproverarlo ma si accorge (e qui c'è un bellissimo primo piano del volto di Milena) che il bambino ha i suoi motivi per non stare attento. Si siede accanto a lui e lascia che la tenerezza invada la sua voce, fiorita di diminutivi: "La letterina...".

oggi la maestra ci ha fatto il dettato.../la dictée...

Ma è tempo di chiedere a Giuseppe Rocca se questa mia personalissima lettura del suo film lo disturba, e soprattutto che cosa ha provato nell'utilizzare un nuovo mezzo tecnico per offrirci il suo "modellato fine".

A te la parola, Giuseppe...








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