Roma, venerd́ 26 febbraio 1999
ore 9,30
Sono al Goethe Institut. E' il secondo giorno di un convegno italo-tedescoche traccia e intreccia linee tra Weimar, Bonn, Berlino - e Roma. Ho preso l'apparecchietto per la traduzione. Parlano lentamente, questi gentili signori tedeschi, scandiscono bene, vogliono farsi capire, perciò utilizzo solo uno degli auricolari: voglio vedere quanti Schicksal, quanti Geist e quante Geschichte riesco ad afferrare con l'orecchio libero. Nell'altro orecchio intanto si alternano due voci femminili,due bravissime traduttrici. Le ascolto per un po' tutte e due, voglio sentireanche la traduzione dall'italiano al tedesco. E Weimar esce dall'accademia per ridiventare il prologo diun'immane tragedia.
I relatori, i moderatori, quelli che intervengono nel dibattito sono tutti uomini. Le loro voci si alternano, con tonibasso-baritonali che a volte l'età rende rochi. La diversa appartenenza linguistica crea cadenze diverse ma sostanzialmente simili: assertive, forti. Anche le doverose cautele interpretative sono espresse consedimentata calma, senza incertezze. Le domande, numerose, a volte retoriche,trovano sempre una risposta, spesso proprio da parte di chi le ha poste.
Di questo ambito spazio-temporale vengono esaminati gliaspetti storico-culturali e politico-costituzionali, con le loro proiezioni(aspettative, previsioni) sul futuro dell'Europa.
E' una giornata grigia.
Nella grande sala, la parete di destra interamente a vetri lascia filtrare una luce fredda.
E mi rendo conto che queste due donne, del tutto inconsapevolmente, stannoregalando un corpo al convegno. Le loro piccole inevitabili esitazioniintroducono nei compatti discorsi maschili sospensioni, ironia, sospiri, dubbi e tremori.