Elegia per i naufraghi del Venerdi santo
di Visar Zhiti
Le onde del terrore si avvicinano alla costa, il lamento bagna i miei piedi penetra nel corpo, scuotono il cuore, barca speronata che cala a picco.
In fondo al mare come nella profondità della terra sono andati i bambini - angeli e le donne - sirene di tragedia. Sopra schiumeggiano le dimenticanze e l'abbandono. La nave capovolta insieme alla Patria si è fatta bara. Il mare - sepolcro. Partirono per la costa del sogno e sprofondarono negli abissi, torbidi paurosi come coscienze di mostri.
Le donne lasciarono vuoto il letto notturno - conchiglia grande del destino. E i ceri di Pasqua stelle spente che si spengono sul mare. I bambini non terminarono i giochi. I pesci giocheranno con le loro vite innocenti, con gli scheletri, di raggi di luce.
Le gole degli urli strozzò l'acqua della morte, perciò più non urliamo. Ma cosa porta il vento, la chioma dell'amore naufragato?
E le onde portano a riva una bambola orfana, un libro di favole travolte in zuffe.
Anche allora, quando la terra fu sommersa, l'Arca di Noè scampò al diluvio, solo la mia gente doveva sprofondare nell'abisso del mondo senza mondo.
Quanto mare, quante tenebrose profondità, dove si culla il nostro destino, abbiamo creato con le lacrime!
Epilogo
In riva al mare, sotto i marosi del cordoglio più grande, tiro fuori i cadaveri della mia vita, ad uno ad uno, i miei giorni naufragati, pendono le braccia come epilogo bagnato di bandiere del nulla, in fila li dispongo sui ciottoli abbandonati come la pietà. Vieni, Mondo, soffiamo il nostro respiro, senza tardare, mentre l'alba s'imperla tra gli occhi spenti e aperti, che non si chiuderanno mai più. Come il mare.
Roma, aprile 1997
Visar Zhiti, poeta d'Albania

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