Parecchio tempo fa avevo scritto queste righe:
In molte donne c'è una tendenza nefasta, che potremmo chiamare tendenza all'adeguamento: la brava bambina "si adegua", cioè fa quello che dicono le mamme o il parroco o i prof: da grande si veste secondo i canoni vestimentari stabiliti dal gruppo delle sue coetanee, tiene bene la casa (meglio della vicina?), il matrimonio lo vuole bello come quello delle sue amiche (anzi, lei lo vorrebbe un po' più bello, ma...), i figli li educa come si deve (anzi, lei pensa di farlo meglio delle altre coppie che conosce, però...), sul lavoro poi... meglio non parlarne!
No, è inutile protestare: per poche confortanti eccezioni che conosciamo, non possiamo chiudere gli occhi e ignorare questa forte spinta verso l'adeguamento ad uno standard, ad un quadro di riferimento già dato che caratterizza molte donne, anzi, la maggioranza delle donne.
Attenzione: che sia uno standard di "sinistra" o di "destra", patriarcale o femminista, accademico, giornalistico o aziendale conta poco: sempre standard è.
Ci sono naturalmente delle giustificazioni: attraverso l'adeguamento allo standard queste donne pensano di essere più facilmente accettate, di evitare l'esclusione da determinati settori, da determinati ambienti.
Voi direte: "ma anche gli uomini, ecc." Guardiamo le cose in faccia e riconosciamo che lo spirito gregario e la spinta normalizzatrice sono molto forti soprattutto nelle donne, proprio per la loro storia di esclusione, che le ha rese guardinghe incerte caute tentennanti, sempre in cerca di conferme e cose rassicuranti.
Certo, le donne fanno meno guerre (anzi, nessuna!) e meno incidenti con la macchina, però quante volte l'esercizio di questa tremenda forza frenante ha bloccato sul nascere il manifestarsi di nuove energie!
Perché ho sentito il bisogno di riportare a galla queste parole sgradevoli, non nuove, certo, (di "vestali" si è sentito parlare tante volte)?
Perché qualche tempo fa mi è arrivata una lettera di una giovane laureata in filosofia all'Università di Pisa, Patrizia Lessi, che mi proponeva una sua lettura molto personale (finalmente!) del volume "Musica" di Yukio Mishima, recentemente ristampato da Feltrinelli.
Il suo saggio era la prova finale di un corso interfacoltà su "Ermeneutica e retorica" organizzato da Carmen Dell'Aversano (docente alla Facoltà di Lettere di Pisa) per gli studenti desiderosi di destreggiarsi nella lettura interpretativa e nella stesura di testi critici.
E Patrizia mi aveva inviato il suo saggio proprio su suggerimento di Carmen.
Strano intreccio di fili... ma noi su MeDea ci siamo abituate! Avevo conosciuto Carmen ad un convegno di italianisti. La sua comunicazione mi era piaciuta perché aveva riproposto il "Trattato dell'argomentazione" di Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca (ve ne ho parlato, ricordate?), sottolineando la necessità di appropriarsi delle strutture argomentative di "conflitto".
Alla fine della sua conferenza avevamo scambiato qualche parola, nella certezza che ci saremmo sicuramente incontrate di nuovo.
E adesso... Ecco la lettera di Patrizia:
Gentile sig.ra Musarra,
mi chiamo Patrizia Lessi e a farmi il suo nome è stata Carmen Dell'Aversano,
della quale ho seguito nell'anno accademico 2000/2001 il corso di Ermeneutica
e Retorica presso la Facoltà di Lettere a Pisa.
Da allora mi sono laureata
in Filosofia con una Tesi in Antropologia Filosofica e, per circa un anno
e mezzo (e in opposizione ai consigli di Carmen), ho seppellito in fondo a
un cassetto il saggio conclusivo del corso seguito a Lettere ("Una musica
per Reiko. Una interpretazione del romanzo 'Musica' di Yukio Mishima"), che ha
rappresentato uno dei rari momenti in cui, durante il mio percorso
universitario,
ho potuto esprimere in concreto la passione per le tematiche di genere.
Scrivere quel breve saggio mi ha dato una emozione ed una gioia contro le
quali si sono progressivamente frantumati l'entusiasmo e gli stimoli per
una Tesi di Laurea che, pur dandomi grande soddisfazione in sede di discussione,
mi ha fatto rimpiangere le idee e i progetti lentamente sopiti dopo la fine
del corso.
E' stato allora che Carmen mi ha parlato di lei. Mi ha detto
di averla conosciuta ad un convegno circa due anni fa e mi ha spronata a
fare questo autentico salto nel buio mandandole il mio saggio in cerca di
una opinione e di un consiglio.
Le confesso che il pensiero di scriverle
così "un po' alla cieca" mi ha inizialmente molto spaventata. E' la prima
volta che mi presento in questo modo ad una persona che non conosco e che
non mi conosce ed è anche la prima volta che il saggio su Mishima, fino
ad ora letto solamente da pochissime persone, viene ripiegato a barchetta
e lasciato andare lungo il rigagnolo di una strada sperando che trovi il
mare o le mani di qualcuno piuttosto che il buio di qualche tombino.
Comunque, come in questi giorni Carmen mi ha spesso ripetuto, non ho niente
da perdere.
Non so se leggerà questa lettera, né se darà un'occhiata al mio lavoro.
Se dovesse decidere di perderci un po' di tempo, la ringrazio fin da ora
sentitamente, indipendentemente dalla natura del giudizio che ne scaturirà.
In ogni caso, come le ho già detto, mi bastano un'opinione e qualche
suggerimento
su cosa fare di questo lavoro, se riterrà che abbia qualche merito.
In caso contrario,
scrivere che ho cercato la persona sbagliata o che quello che ha letto non
le è piaciuto affatto, spero non le costi molto.
Per correttezza le invio l'indirizzo di Carmen,
la cui validità potrà facilmente verificare andando sul sito di Lettere
o su quello di Lingue e Letterature Straniere dell'Università di Pisa e
a cui potrà scrivere per assicurarsi che questa iniziativa fatta in parte
a nome suo, io non l'abbia invece presa autonomamente.
Il mio le arriverà
con questa lettera e spero tanto che lo usi per una risposta, anche breve,
anche negativa.
La ringrazio per avermi letta ed ascoltata. Queste righe, indipendentemente
dall'esito, hanno comunque finito per farmi un gran bene.
Cordialmente,
Patrizia Lessi.
A questo punto sono passata all'azione:
- ho pensato che il saggio di Patrizia (della quale avevo apprezzato la delicatezza mista ad audacia - irresistibile!) si sarebbe sentito a suo agio nelle "stanze" di MeDea, sempre vogliosa di dar voce alle donne che sanno dire "io";
- ho comprato e ho letto "Musica" di Mishima;
- ho chiesto a Patrizia di scrivere per noi una introduzione al suo lavoro.
Ne è nata una corrispondenza dalla quale emerge con forza un tema a me molto caro: lo sforzo di una giovane donna per liberarsi dalle strettoie spersonalizzanti dell'accademia ("Questo e solo questo è il VERO Mishima!") per far emergere in modo originale la propria voce libera e responsabile: "Questa sono io".