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Albanesi in Italia

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Con gli occhi dell'altra
di
Anna Rosa Iraldo e Paola Musarra



Roma, 24 febbraio 2007

Siamo al Caffè Letterario di via Ostiense per l'evento italo-albanese "Doppio sguardo". Ci intervista il sociologo Rando Devole.

Rando - Perché avete intitolato il vostro intervento "Con gli occhi dell'altra"?

Paola - Devo partire da lontano. Dall'aprile del 2001 Anna Rosa ed io abbiamo cominciato a dar vita su MeDea al nostro Progetto Albania, un progetto assolutamente libero e autonomo, senza nessun finanziamento. Le circostanze - Anna Rosa a Tirana, io a Roma già da tempo impegnata nella redazione di MeDea - le trovate descritte nell'Introduzione.

Perché questo progetto? Lo vedete dal titolo: “Per una nuova immagine delle donne albanesi”. Avevamo pensato che fosse giunto il momento di mettere accanto alle immagini delle kossovare dolenti e delle giovani prostitute che invadevano allora le nostre strade i volti nuovi, le voci nuove di alcune albanesi di oggi, attraverso le interviste realizzate da Anna Rosa. Volevamo proporre su MeDea il nostro personale sguardo di donne su altre donne, anzi su donne "altre", nate e vissute altrove, con storie nazionali e personali diverse.

Sia ben chiaro: non volevamo fare un lavoro da storiche o da sociologhe o da antropologhe, e nemmeno da giornaliste, ben coscienti del fatto che parole come “verità”, “oggettività” e “completezza” erano completamente estranee al nostro lavoro. Abbiamo semplicemente voluto “dar voce” ad alcune donne albanesi che Anna Rosa aveva conosciuto a Tirana, ma…

alcune donne albanesi...
... alcune donne albanesi...


Ma, e questo è il punto, attraverso quelle voci abbiamo anche voluto – anzi, dovuto - rivedere alcuni stereotipi e luoghi comuni sull’Albania, e quindi modificarci, profondamente (si veda per esempio, nella sezione “Albanesi in Italia”, la mia “Storia di un pregiudizio”.

Alla baldanzosa ipotesi iniziale: "Andiamo a vedere come le donne albanesi si liberano grazie alle Nuove Tecnologie" abbiamo quindi pian piano sostituito, con delicatezza e cautela, una seconda più ragionevole ipotesi di ricerca: "Andiamo a vedere come alcune donne impegnate e consapevoli di Tirana hanno vissuto il loro desiderio di libertà all'interno della propria storia personale in un paese che vuole fortemente cambiare - e diamo loro voce su MeDea”.

Ecco, ho ricostruito il contesto, adesso Anna Rosa vi spiegherà che cosa vuol dire “Con gli occhi dell’altra”...

Anna Rosa - "Con gli occhi dell'altra" significa che Paola ha visto l'Albania - o almeno alcuni suoi aspetti - con i miei occhi: io le riferivo ciò che vedevo.

Ma il fatto di dover riferire a Paola in qualche modo ha aguzzato la mia vista, diretto il mio sguardo, mi ha dato consapevolezza di ciò che vedevo. Qindi non solo Paola ha visto l'Albania con i miei occhi, ma in un certo senso anch'io l'ho vista attraverso i suoi...

Se penso a come abbiamo lavorato mi viene in mente la differenza tra "vedere" e "guardare".

Il "vedere" ha prevalentemente a che fare con la percezione, senza che necessariamente sia coinvolta l'intenzione, la volontà di guardare ciò che si presenta ai nostri occhi.

"Guardare" implica l'intenzione, l'attenzione, la ricerca.: vuol dire farsi delle domande e cercare delle risposte.

Quando si va in un posto nuovo, si corrono due rischi:
  • il primo è che la quantità e la novità degli stimoli attiri il nostro sguardo e la nostra attenzione prima ancora che abbiamo potuto farci delle domande, che abbiamo deciso dove posare gli occhi;
  • il secondo rischio - soprattutto quando ci si trova in un posto o in una situazione di cui si è sentito parlare molto, come si parlava dell'Albania negli anni novanta - è quello di vedere ciò che ci si aspetta di vedere: si arriva con un preconcetto e si tende a verificare e a validare quel preconcetto. Era abbastanza facile verificare, ad esempio, che in Albania in quegli anni (e ahimé di nuovo adesso per complesse motivazioni internazionali) manca la corrente, che le strade erano piene di buche, e via discorrendo.


Anche io sono andata a vedere se era vero. Avevo in mente delle domande, ma erano domande chiuse, per le quali cercavo (e mi aspettavo) una risposta in senso negativo o positivo, sì o no, è vero o non è vero.

Per "guardare" ho dovuto imparare a pormi altre domande, e comunque domande aperte, per le quali non avevo previsto e non ero in grado di prevedere delle risposte.

Mi sono dovuta liberare dal "velo di familiarità" con l'oggetto che descrivevo, una familiarità indotta non tanto dalla frequentazione quanto dai preconcetti.

E qui la funzione di Paola è stata fondamentale. Nel momento in cui mi ha chiesto di collaborare a MeDea con i miei racconti e con le mie chiacchierate con alcune donne albanesi, mi ha costretta a "guardare" con attenzione e intenzione.

Ma Paola mi ha anche caricata di responsabilità: non solo dovevo riferire le conversazioni, ma dovevo trovare il linguaggio giusto per non tradire le intenzioni implicite nelle parole delle donne che incontravo. Ho incontrato quasi tutte donne che parlavano bene l'italiano e ho cercato di mantenere il più possibile le loro parole, tranne quando mi rendevo conto che potevano dare adito a malintesi.

Inoltre, mi sono trovata a raccontare la mia esperienza di donna, una donna che deve affrontare la vita quotidiana in condizioni meno facili di quelle che ha lasciato in Italia. Non avrei mai pensato di rendermi conto di quanto la mancanza di corrente possa condizionare i ritmi giornalieri, mi sono trovata a riflettere, a capire meglio le casalinghe albanesi.

capire meglio...
... capire meglio...


Avendo la responsabilità di raccontare mi sono anche resa conto di quanto il nostro linguaggio di residenti temporanei nell'accostarci, nel vivere e nel riportare ad altri le condizioni della vita quotidiana sia fatto prevalentemente di lamenti e di recriminazioni...

Il mio guardare e vedere si è perciò trasformato in esperienza e consapevolezza per la responsabilità di "dire ad altri".

A Paola, la responsabilità del sito!

Paola - Ecco, la responsabilità del sito. Qui il discorso si complica ulteriormente.

Non sempre (per fortuna!) si riflette fino in fondo su ciò che vuol dire “esporsi” scrivendo su Internet. In teoria, chiunque, da qualunque luogo, può collegarsi e leggere…

In realtà, sappiamo che non è proprio così, che ci sono molteplici filtri, numerose esclusioni, ma la domanda fondamentale alla quale ogni volta dobbiamo rispondere è comunque: per chi scriviamo? E come?

Anna Rosa portava dall’Albania delle cassette registrate e delle foto. Pensate alla nostra emozione e alle difficoltà. Non sto parlando soltanto delle difficoltà insite nella trascrizione (fatta da Anna Rosa) dei testi orali e nella successiva codifica in HTML (fatta da me). Sto parlando della nostra difficoltà nel selezionare (necessariamente), scegliere e “mettere in scena” sul sito dei testi che contenessero non solo le parole delle intervistate ma anche, nella misura del possibile, il loro "colore", il corpo, insomma, dal quale emanavano gesti, tono di voce, risate, pause...

... il corpo...
... il corpo...


Si pensi ad esempio all'emozione che può suscitare la voce roca di una donna anziana – indimenticabile Lirì… - che si racconta, o all'ansia e alla concitazione di chi vorrebbe concentrare il proprio percorso esistenziale in poche parole…

E poi, chi avrebbe letto? Italiane e Italiani, Albanesi, uomini e donne…

Per fortuna, lo ripeto, senza troppo riflettere siamo andate avanti, il lavoro ci appassionava e ci appassiona: lo sguardo di Anna Rosa sulle strade di Tirana, Tirana che cambia, i tempi, le case… Il diario di una giornata normale, con la corrente elettrica che va e viene (link)… E poi, la mia attenzione per gli Albanesi in Italia che pian piano si desta: la musica, la letteratura, il “Bota”, l’Elegia per i naufraghi del Venerdì Santo di Visar Zhiti… Il mimetismo, le ferite, le speranze… il libro di Rando e le Albanie di Giuseppe Cossuto… Potrete, se lo vorrete, scoprirli su MeDea.

Ma non è tutto: Anna Rosa è appena tornata da Tirana...

Anna Rosa - Sono tornata l'altro ieri da un soggiorno di dieci giorni, sapendo che oggi avrei dovuto fare questo breve intervento (ancora una volta la responsabilità di riferire!).

A Tirana ho visto molte cose nuove: nuovi supermercati, nuovi palazzi di dieci, quindici, venti piani, il profilo della città che cambia, soprattutto nella centrale Piazza Skanderbeg dalla quale sta gradualmente scomparendo il profilo del monte Dajti. Nuovi palazzi intorno alla piramide che doveva essere il mausoleo di Hoxa ne riducono in proporzione l'imponenza e l'importanza.

Le strade tra una città e l'altra sono notevolmente migliorate, i tempi di percorrenza tra le città principali (Tirana-Scutari, Tirana-Berat-Valona) sono quasi dimezzati.
Delle donne che ho conosciuto, una, Lirì è morta un anno fa.
Due donne hanno raggiunto posti prestigiosi in istituzioni pubbliche, altre continuano nel loro lavoro.
Tranne una o due che ho perso di vista (i numeri di cellulare cambiano a velocità impensabile), con le altre ho rapporti di amicizia che sono motivo sufficiente per tornare ogni tanto a Tirana. E poi ho conosciuto altre donne... Ne riparleremo!

cartina dell'Albania


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