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Per una nuova immagine 
delle donne albanesi

Un progetto
di
Anna Rosa Iraldo e Paola Musarra
Ottava parte






Sommario
Prima parte: il percorso professionale di Zamira

Zamira:"Facciamoli tornare"
di
Anna Rosa Iraldo


Seconda parte: la quotidianità, la scelta di restare

Quanto ha inciso il suo essere donna sul percorso professionale di Zamira? E' stato difficile?
"No, perché io non avevo altri impegni. Per me la radio era tutto, era la mia famiglia, mi occupavo delle cose... così. Non ho sentito mai la mancanza del tempo, perché tutto il tempo era per la radio.
Però io ho anche lottato. 'Perché?' mi diceva mia madre 'Perché non fai come le altre ragazze che hanno un lavoro così?' Invece io volevo fare qualcosa, ero ambiziosa, forse anche un po' egoista nel mio mestiere
[ride].
Adesso sono contenta, Per me la radio è una cosa bellissima, mi piace tantissimo."

E la notorietà, la lusinga?
"Prima in Albania c'era soltanto una radio, la radio statale, Radio Tirana: c'era una televisione e una radio. L'Albania è piccola, e vedere un giornalista accanto ai dirigenti era una cosa interessante. Così ci giudicavano gli altri: 'Sei vicino a quelli, sei importante!' Per questo mi conoscono tutti...
Poi io ho viaggiato tanto, tantissimo, dappertutto in Albania: facevo i reportage, le cronache... Nelle altre città non è che ci siano tantissime novità e prima, quando andava un estraneo, era una cosa strana, una cosa eccezionale. E così sono diventata un po' conosciuta... Non è merito mio!"

Zamira - primo piano

Zamira conosce bene l'italiano, mi ha parlato dei libri "decadenti" che leggeva a scuola e della sua educazione "clandestina":
"Io l'italiano l'ho imparato ascoltando la hit parade. Scrivevo i testi delle canzoni: Lucio Battisti, Mina, Gianni Morandi, Al Bano, tutti questi. In radio si potevano sentire, ma in televisione non si potevano vedere. Poi anche in televisione, abbiamo cominciato a vederla vent'anni fa.
Noi sentivamo soltanto le notizie RAI. Facevamo il collegamento con il ripetitore, poi, quando usciva il Papa, psssshhhh... non si vedeva niente! Le notizie le potevamo sentire, ma quando davano qualche notizia sul Papa, no, perché la fede era proibita.
E così, io ascoltavo le canzoni, le scrivevo, facevo la traduzione... Avevo una cugina (il cugino di mia madre aveva sposato un'italiana), zia Bettí la chiamavo. E così lei cominciava a darci un po' di lezioni e mano a mano poi... ho cominciato a imparare attraverso le canzoni! "

E i libri? C'erano libri che non era permesso leggere?
"Sì, c'erano tantissimi libri, bellissimi, che si trovavano in biblioteca, ma c'era un fondo che era proibito leggere, e così io trovavo qualche amico che me li dava di sera, poi la mattina dopo io dovevo restituirli, perché quelli avevano paura.
Tutto era proibito, tranne la letteratura albanese e il realismo socialista. Anche Beethoven non si poteva ascoltare, mai! Anche Beethoven... Dopo la rivoluzione culturale in Cina, in Albania è diventato peggio: non si poteva ascoltare la musica classica. Abbiamo studiato pochissimo a scuola, sempre criticando.
Tutto proibito: Dostojevskji, la letteratura russa, Stendhal, poi quell'autore francese degli anni Sessanta di cui ha fatto la traduzione un mio carissimo amico...
[suggerisco alcuni nomi, ma non riesce a ricordare]... mentre lui stampava la traduzione, io lo leggevo di nascosto. Anche 'Addio alle armi', tutto proibito. Io avevo un carissimo amico che è in America e fa il traduttore. Mi portava sempre i libri di nascosto.
Ricordo la storia di Trotskji, quel dirigente del partito... dopo Lenin: siccome la storia è quasi uguale in Albania, io lo leggevo con ansia..."

Il discorso scivola su cose più quotidiane, sui cambiamenti avvenuti nelle case albanesi dopo la caduta del regime.
E' stata Zamira la prima a spiegarmi, con la sua ironia, il perché dei bagni ben rifiniti o addirittura eleganti in appartamenti per altri versi essenziali, se non poveri. L'argomento sembra banale, ma vedremo dove ci porta...
"La cosa più impressionante in Albania dopo i cambiamenti, che faceva moltissima impressione agli stranieri - ma anche a me! - era: come mai gli albanesi, la prima cosa che hanno fatto nelle loro case, hanno ristrutturato i bagni?
Perché, sai, hanno incominciato ad arrivare gli stranieri, e noi siamo molto ospitali, abbiamo questo senso, noi albanesi... forse della povertà... perché quando si va nei villaggi, sono molto amichevoli, ti invitano a casa, ti danno da mangiare, così... cosa che nei paesi occidentali non succede.
E così gli albanesi hanno incominciato a invitare gli stranieri a casa e hanno pensato: 'la prima cosa che dobbiamo fare, è il problema igienico'.
Tu non puoi immaginare come erano prima i nostri bagni... C'erano due parti in bagno: una che era il bagno, poi un'altra dove si preparava da mangiare. In bagno.
Perché c'erano questi forni a petrolio che mandavano un odore terribile, e non si poteva preparare da mangiare nella cucina, dove abitavi. Perché la cucina era una camera di soggiorno, diciamo.
Quindi si faceva da mangiare in bagno. Anche noi, sì. Adesso è un'altra cosa... E poi i bagni erano alla turca... Erano la cosa più brutta!"

Penso alla casa di Lirì, casa tipo della famiglia albanese, e mi spiego anche perché si è fatta fotografare proprio accanto all'angolo di cottura del suo tinello-cucina. Capisco anche perché in tutte le case che ho visto il bagno è il posto più bello. Lindo e luminoso. Stupendo.
Ma quanti spunti in queste poche note sui bagni: l'ospitalità, la povertà, la tradizione... Questo discorso ci porta lontano, fuori dell'Albania, al confronto con gli altri paesi:
"... siccome lo vedevano, perché hanno cominciato a uscire dall'Albania, qualche volta. Io per esempio, anche se ero, diciamo così, "importante", sono stata fuori dell'Albania solo negli anni Novanta. Prima non è che andavo fuori, anche i nostri dirigenti non andavano fuori.
Nel 1989 sono stata in Corea del Nord e in Cina, e poi sono stata in Italia per la prima volta: il capitalismo l'ho visto per la prima volta nel sud dell'Italia, a Lecce. Avevo un amico italiano e lui mi ha invitata. Sono andata due settimane."

E che impressione ne ha avuto?
"Beh, noi avevamo visto la televisione, qualche volta. E poi io non sono una persona che si entusiasma, soprattutto quando pensavo al mio paese. Vedevo le cose in una maniera... non sono mie, e basta: sono cose che non mi appartengono (anche se sono bellissime, sai).
L'altra gente che tornava dall'estero, ti sentivi male quando li ascoltavi, perché si sentivano giù, inferiori: 'Come siamo noi poveretti, il mondo è così...' Invece a me no.
Mi sentivo male vedendo gli altri, ma poi dicevo: 'Questo è il loro mondo, non è il mio. Io ho quello che ho, e devo trovare le cose belle dentro di me.'
Perché io non avevo la minima idea di andare via, non ho avuto mai questo desiderio, mai mai... Io pensavo: 'Qui io il mio mestiere non lo posso fare, perché qui è un altro paese, loro hanno i loro giornalisti, che gliene frega di me'.
Mi chiedo sempre perché ho pensato così. Non so.
Ci sono tantissime amiche mie che sono andate via, e..."

Sono contente?
"Sono contente perché non hanno altra scelta. Hanno fatto questa scelta, dicono che stanno bene, mangiano bene, vivono in un paese senza polvere, senza fango, sai, ma non penso che hanno trovato questa cosa, che hanno... realizzato le loro speranze. Perché... che fanno? Fanno le baby sitter, perché... chi è che ti apre la porta? Io non è che sono contraria, ma l'Italia è il paese degli italiani: se sei capace, sì... ma non puoi essere uguale a loro, perché noi camminiamo, ma gli altri corrono!"

Stiamo entrando in un argomento delicatissimo, dalle mille sfaccettature. E di tutti questi giovani studenti che se ne vanno, che vanno in Italia, cosa pensa Zamira? Mi hanno detto che a quelli che tornano per lavorare nelle strutture pubbliche viene offerto uno stipendio triplo, grazie al contributo della fondazione Soros.
"Non mi risulta che ce ne siano tanti che tornano. E questo mi dispiace. Ho una piccola speranza che forse tornino, che le cose cambino, chissà. Ma, non so, forse torneranno i figli, in Italia tanti sono andati in Argentina e proprio l'altro giorno ho visto un servizio in TV sulla generazione dei figli che sono tornati. [ndr: l'intervista a Zamira è stata fatta prima della recente crisi economica argentina]
Dipende molto dalla famiglia: se gli parlano dell'Albania, mantengono vivi i legami... ma loro sono giovani, non hanno legami. I genitori hanno un ricordo, loro non hanno niente: io ho paura che non tornino.
C'è un problema qui in Albania: tutti i genitori vogliono mandare all'estero i figli, tutti. Io quando vedo dei giovani a Tirana, mi stupisco: 'Dio mio, com'è che sono rimasti ancora?' Perché tutti vanno via, mia sorella ha due figli a Londra, anche i miei cugini, tutti via. Vanno per studiare. Quelli che rimangono sono quelli che non hanno i soldi, o che non vogliono andare, come quelli che vengono dalle altre città dell'Albania e a Tirana si trovano meglio... ma chi ha i soldi li manda fuori."

Nell'estate del 2000 ho visto davanti all'ambasciata italiana a Tirana la fila dei giovani che si presentavano alle pre-selezioni per l'iscrizione in una università italiana. Erano circa cinquemila. Per potersi iscrivere, oltre a passare la selezione dovevano dare una garanzia di circa tre milioni di lire da depositare in una banca italiana. Che ne pensa Zamira?
"Secondo me ci dovrebbe essere un accordo tra i due stati, quelli che vanno in Italia devono poter andare, ma poi ci dovrebbe essere un accordo per farli tornare. Siamo noi che abbiamo interesse a farli tornare.
Gli artisti che hanno fatto qualcosa fuori, qualche volta tornano. Una volta hanno fatto una bella iniziativa. Hanno chiamato tutti gli artisti albanesi che hanno fatto qualcosa fuori e hanno fatto un incontro-spettacolo-ricevimento.
Ma il mio capo ha detto: 'Io non sono d'accordo' 'Perché?' ho detto io. E lui: 'Noi che stiamo facendo di tutto qua per sopravvivere, dobbiamo essere noi eroi che restiamo qua in prima fila. Noi siamo dei veri eroi che stiamo qua, che stiamo lottando per fare qualcosa di bello.'
In questa TV, per esempio, lui ha fatto tanto per farla bella..."

La domanda conclusiva che faccio a Zamira è questa: 'Ma queste tue idee, tu riesci a trasmetterle in qualche modo?'
"Io ne parlo dappertutto. Anche con il mio lavoro. Con la radio. E' un atteggiamento che ho, e che penso che 'passi'. Non ho avuto mai invidia di altri che vanno via, fuori dall'Albania. Forse perché c'è anche un'altra cosa. Io mi sono fatta un nome, diciamo, e forse anche questo era un'attrazione. Ho un ruolo, una posizione che mi è riconosciuta. Ho fatto qualcosa e sono contenta, molto contenta di restare qui."

Zamira nel suo ufficio

Più frequento l'Albania, più mi rendo conto che non si può giudicare applicando i nostri parametri. La cosa migliore da fare, è ascoltare. Ascolteremo altre voci, altre esperienze, altre situazioni, altre generazioni...



Presenze albanesi
a Roma

di Paola Musarra



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foto: A.R. Iraldo
mise en page: 

pmusarra

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