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Al posto delle fragole
di Paola Musarra
Tra il Colle Oppio e Piazza Vittorio a Roma c'è "Il posto delle fragole". Scendo i gradini e mi trovo in un ambiente raccolto, gradevole, con le volte a botte e le luci soffuse. Un bar, tavolini e sedie, una piccola pedana che puņ far da palcoscenico, una saletta per le proiezioni.
C'è parecchia gente. Incontro Anna Rosa, naturalmente, e anche Giovanna Petta, un'altra collega di quando insegnavo al liceo: anche lei fa parte di "Occhio blu" e conosce l'Albania.
C'è anche la moglie dell'ambasciatore albanese in Italia, qui con Roland Tasho, il fotografo del quale si inaugura la mostra.
Guardo le foto esposte. Una mi colpisce in modo particolare, ve la propongo per gentile concessione dell'autore. Dietro vecchie casette basse emergono, come adolescenti sgraziate e spilungone, le brutte palazzine tirate su in fretta alla meno peggio, con i balconcini di mattoni e i panni stesi. Ma l'elemento che più colpisce è il numero incredibile di antenne di grandi dimensioni. La foto è stata presa a Lesha nel 1999. Il titolo è: "Antenne paraboliche verso l'Italia".
Che cosa si prova, che cosa prova un "osservatore medio" davanti a questa foto? Proviamo, come Zelig, a identificarci con lui...
Occhi bocche mani protese verso l'Occidente. Provo un senso di disagio, come quando... sì, come quando un nugolo di zingarelli mi circonda, cercando di sfilarmi l'orologio. Mi frugano, mi spiano, non so come difendermi da questo Piccolo Fratello che vuole captarmi, risucchiarmi, vampirizzarmi. Ma che vogliono questi? Se ne stessero a casa loro!
Il bambino kosovaro che mi guarda con i suoi occhioni patetici da un campo profughi, mi sta bene, mi stimola una cattolicissima pietà e mi spinge ad inviargli per interposta persona qualche soldino, che produrrà benefici effetti soprattutto su di me, perché cancellerà ogni traccia di sensi di colpa.
Le parabole invece mi danno fastidio (come le antenne sulle baracche dei campi nomadi), perché sono un segno di invadenza, di imitazione spinta all'eccesso, di volontà di appropriazione... insomma, sono un po' "troppo", ecco.
I poveri debbono stare al loro posto!"
Avete visto com'è facile scivolare verso chiusure di tipo leghista? "Se ne stessero a casa loro!" Le abbiamo viste, le loro case, con i maledetti mattoncini e i terrazzini tutti storti. E poi, fortunato chi ce l'ha, una casa..
Da un po' di tempo a questa parte si vanno diffondendo in Italia le iniziative per "far conoscere" e "promuovere" l'Albania, due verbi che si applicano sia a contesti di tipo didattico, che a contesti di tipo commerciale: far conoscere un prodotto, promuoverne la vendita tramite sponsorizzazioni e altre iniziative pubblicitarie.
Ma l'Albania non è né un alunno da promuovere o bocciare, né un prodotto da vendere o comprare: è una terra complessa, che sta vivendo una fase estremamente delicata della sua vita, in bilico tra vecchio e nuovo.
Accanto a "far conoscere" e "promuovere" c'è quindi un altro verbo che dobbiamo imparare a coniugare: è il verbo "rispettare".
Come si rispetta un popolo? Soprattutto ascoltandolo, non soffocandolo con giudizi sommari, moltiplicando le occasioni di scambio e comunicazione reciproca, "dandogli voce".
E' ciò che si propone "Occhio blu", con le sue sfaccettate iniziative (mostre, proiezioni di film, progetti agroturistici...), è ciò che tentiamo di fare noi su MeDea, dando voce alle donne di Tirana, a quelle donne (intellettuali, militanti) che hanno deciso di restare lì tra mille difficoltà quotidiane, per mettere la loro intelligenza e la loro esperienza al servizio del loro paese.
Davanti alle antenne paraboliche protese verso l'Italia, mi sono ricordata di un proverbio albanese citato (ne riparleremo presto) da una delle donne intervistate da Anna Rosa: "Il fico matura guardando l'altro fico".
Ci stanno guardando. Ma noi, siamo maturi?
Quale "altra"?

mise en page:
paola musarra
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