Quale obiettività?
di Paola Musarra
Sgombriamo subito il campo da ogni possibile equivoco: il nostro lavoro sulle donne albanesi non sarà "obiettivo" in senso stretto perché sarà sottoposto ad una trafilatura rappresentata da un certo numero di filtri.
Primo filtro: la scelta delle donne intervistate, che certo non rappresentano tutte le albanesi.
Secondo filtro: la presenza del registratore e dell'intervistatrice che, pur discretissimi, non possono non aver condizionato la comunicazione.
Il terzo filtro è rappresentato dalla destinazione delle registrazioni: le donne intervistate sapevano che le loro parole sarebbero state in qualche modo "raccolte" dal sito italiano MeDea, sito non neutro, sito di donne per le donne.
A questi tre filtri, diciamo così, all'origine, se ne sono aggiunti altri nel corso del nostro lavoro di sbobinamento qui a Roma.
L'idea di trasferire le testimonianze tali e quali prima su carta e poi su video l'abbiamo subito scartata, perché avrebbe prodotto documenti poco digeribili, di una lunghezza impressionante, poco adatti allo schermo.
Ci ha confortato quanto afferma Alessandro Portelli nel suo libro sulle Fosse Ardeatine (L'ordine è già stato eseguito, Donzelli, Roma 1999, p.20):
"Ho costruito il libro come una narrazione polifonica attraverso il montaggio di frammenti più o meno ampi: sia perché è impossibile usare integralmente le migliaia di pagine di trascrizioni, sia perché la storia orale non è solo raccolta di fonti ma anche interpretazione. L'interpretazione comincia nel momento della selezione delle fonti, continua nel ruolo dell'intervistatore durante il dialogo, culmina nella presentazione finale della ricerca, sia esplicitamente nella voce autoriale, sia implicitamente nelle scelte di montaggio."
C'è quindi questo quarto filtro, quello della nostra scelta personale dei temi secondo noi più interessanti, attorno ai quali "montare" le frasi secondo noi più significative (rispettate, quelle sì, nella loro integralità), in breve: il filtro della nostra interpretazione.
E' il nostro personale sguardo di donne su altre donne, anzi su donne "altre", che sono nate e vissute altrove, che hanno interiorizzato storie nazionali e personali diverse e soprattutto modelli, stereotipi e comportamenti maschili e femminili completamente diversi dai nostri.
Oppure no?
Fatema Mernissi nel suo libro sull'harem ci ha insegnato a riconoscere gli invisibili "chador" che ci avvolgono. Toccherà quindi a ciascuna di noi ritrovare nei comportamenti degli uomini e delle donne che conosciamo bene, magari sotto forme diverse, quelle stesse violenze, quei colpevoli cedimenti, quelle strategie perverse e oblique che emergono a volte dai racconti delle donne albanesi.
Vorrei parlare poi di un altro filtro, che mi riguarda personalmente, quello della "mise en page", che non è soltanto il codice HTML, ma anche la redazione e l'editing dei testi.
La mia esperienza con le Infoperline mi ha abituato a mettere in scena non solo le parole delle intervistate ma anche, nella misura del possibile, il loro "colore", cioè il corpo dal quale emanano: gesti, tono di voce, risate, pause... Si pensi ad esempio all'emozione che può suscitare la voce roca di una donna anziana che si racconta, o all'ansia e alla concitazione di chi vorrebbe concentrare il proprio percorso esistenziale in poche parole.
Con Anna Rosa cercheremo quindi di ricostruire luoghi, ambienti, profumi, colori, insomma presenze di donne fatte di carne e sangue.
Ma allora, direte voi, con tutti questi filtri che fine fa l'"obiettività"? Si perde del tutto?
Non è così. La nostra obiettività sta proprio nella consapevolezza che i filtri esistono e nel desiderio che anche voi che leggete siate coscienti di questo. Questi filtri, del resto, nascono dal desiderio e dalla necessità di rendere significativo e completo il contatto con le donne albanesi, valorizzando anche quegli elementi non verbali che debbono essere trasferiti in un altro codice comunicativo. Siatene dunque consapevoli... prima di aggiungere i vostri (inevitabili e benvenuti) filtri di lettura personali.
Quello che vi proponiamo qui è, come dice Danièle Lévy, un "contatto/contagio". La speranza è che possa nascere in voi il desiderio di rivedere criticamente alcuni stereotipi e di approfondire le nostre considerazioni con le vostre ricerche.
A Tirana
di Anna Rosa Iraldo
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