torna a medea


      torna al file precedente

I tempi, le case

di
Anna Rosa Iraldo

Dall'estate del 2000 la crisi energetica si è fatta sentire maggiormente. Non è questa la sede per analisi tecniche od economiche; sta di fatto che nei miei soggiorni nel marzo, giugno, settembre e novembre 2000 e gennaio 2001 ho imparato che

  • se voglio lavarmi i capelli ed essere sicura di asciugarli con il phon, devo farlo tra le sei e le otto di mattina;
  • la stessa cosa vale se voglio far funzionare la lavatrice (una mia conoscente, che abita in una zona meno fortunata della mia, deve alzarsi alle cinque per usare gli elettrodomestici);
  • quando cucino non posso contare con sicurezza sul funzionamento delle piastra elettrica o del forno, perché, anche nel caso che ci sia la corrente, non è sufficiente a far cuocere alcunché in modo decente;
  • fino alla fine di gennaio, l'erogazione dell' elettricità si interrompeva alle otto o nove di mattina e riprendeva flebilmente alle cinque-sei del pomeriggio, non tanto, comunque, da far funzionare la centrifuga della lavatrice, cosa per la quale è meglio aspettare la tarda serata. Per fortuna si sta introducendo l'uso delle bombole a gas, ma mi dicono di non fidarmi troppo.

Quando manca la corrente, manca spesso anche l'acqua (questione di pompaggio) e, naturalmente, l'acqua calda. Tutti i tempi ed i modi dell'organizzazione della casa sono quindi regolati da fattori esterni non del tutto prevedibili.

Arrivata a Tirana per la prima volta, superata la sorpresa per le strade dissestate ed i bunker che le fiancheggiano, entrata in città, avvicinandomi a quella che viene considerata la zona residenziale per la presenza di ambasciate, università e residenze diplomatiche, mi preparavo ad entrare nell'appartamentino che mio marito mi aveva descritto come una conquista di comfort e gusto rispetto alla sua sistemazione precedente.

B enché disposta all'entusiasmo per le novità, ho trovato difficile esultare di fronte al complesso di condominii di cinque o sei piani, non intonacati, a cui si accede con sapienti slalom tra buche e pozzanghere (sempre le pozzanghere! Ma da dove viene quest'acqua, anche quando non piove, e poi non c'è nei rubinetti!), con le scale all'aperto, con i fili della corrente che collegano come liane le utenze a contatori non ben identificati (perché mio marito pagava più di una famiglia di sei persone? Ho scoperto poi che la giungla dell'erogazione dell'elettricità e del relativo pagamento dei servizi non è solo una mia metafora).

L'appartamento non era brutto. Gli ambienti (due stanze più cucinino e bagno) erano divisi in modo razionale, tale da garantire la privacy degli abitanti e la fruibilità di tutti gli spazi.

Il bagno poi, era nuovo, grande e bianco, incoerente con tutto il resto, il primo prodotto di un certo nuovo benessere e del desiderio di novità.

Ma i materiali degli altri ambienti, dal linoleum vecchio alle graniglie scadenti assemblate secondo criteri di necessità ed urgenza, pietosamente coperti da fantasie di moquettes, erano decisamente deprimenti.

Mi sono in seguito resa conto che il nostro era uguale agli appartamenti nei quali vive la stragrande maggioranza delle persone di Tirana.

Ho avuto occasione di frequentare le case di persone molto diverse per età, storia personale, professione, gusti. La tipologia e le dimensioni sono le stesse, l'insofferenza per gli spazi ristretti ed il desiderio di cambiamento identici.

La casa è stata un bene garantito dal regime, ma adesso, chi non ha potuto riscattarla negli anni '90 paga affitti che assorbono più dell'intero stipendio di un alto funzionario ministeriale, che non raggiunge i 300 dollari al mese (ne riparleremo nell'intervista a Jolanda Trebicka).

Superate le difficoltà di accesso all'androne, (buche, marciapiedi dissestati, in qualche caso spazzatura) ci si arrampica su per scale poco o niente illuminate dai gradini spesso sbocconcellati, ravvivate da porte lucide e curate che annunciano la cura dedicata agli interni.

Perché il tratto comune delle case che ho visto è la lucentezza degli oggetti o parti d'arredo lucidabili, ( dai soprammobili alle maniglie), la presenza di tappeti, di quadri e fotografie, l'ordine delle cucine, (o meglio di quelli che un agente immobiliare potrebbe chiamare angoli cottura), il tutto a contrastare efficacemente la povertà dei materiali ai quali l'usura di anni non ha certo giovato.

Ne ho sempre ricevuto un'impressione di accoglienza e di calore, anche se la centralità di un enorme frigorifero che troneggia nel salotto di un'anziana signora sola contrastava con i miei cliché arredativi.

Ma quel frigorifero ed i bagni nuovi e scintillanti sono i segni ed i protagonisti dei rapidi cambiamenti del tenore di vita nei primi anni novanta.

Quando ho provato ad accennare al rapporto tra donne e tecnologia, non è di computer che si è parlato per prima cosa, ma dell'introduzione degli elettromestici e di come abbiano semplificato la vita ed i tempi delle donne (questo punto verrà sottolineato nelle interviste a Liria e a Diana Çuli).

E i computer?

I computer vengono dopo..... se c'è la corrente.

torna all'inizio di questa pagina

      torna al file precedente

mise en page:      
pmusarra
      




torna a medea