Ho incontrato Diana per la prima volta nel gennaio 2001 al Centro Minerva, sede del Forum Indipendente delle Donne Albanesi.
Quell'incontro è stato l'inizio di un'amicizia che si va rafforzando ancora oggi e mi rendo conto le conversazioni con Diana, che è attiva su due campi, come animatrice di progetti dedicati alle donne e come scrittrice e giornalista, mi hanno offerto una serie di sguardi privilegiati sulla situazione delle donne albanesi.
Una brevissima biografia "ufficiale" di Diana può essere utile per inquadrare il complesso degli argomenti toccati nel corso delle nostre conversazioni.

Biografia
Nata a Tirana, laureata in lingua e letteratura albanese presso l'Università di Tirana, al termine degli studi Diana Çuli ha lavorato per alcuni anni come giornalista presso il settimanale letterario "Drita", organo della Lega degli Scrittori albanesi. E' stata in seguito responsabile della rivista edita in francese "Les lettres albanaises" (la cui pubblicazione è cessata nel 1991) che è stata diretta anche da Ismail Kadaré.
Dopo i cambiamenti politici verificatisi nel Paese negli anni '90-'91, pur non trascurando la produzione letteraria, ha svolto un'intensa attività a sostegno del movimento femminile. E' stata tra i fondatori del "Forum indipendente della Donna albanese" una grande organizzazione su scala nazionale che lavora per la difesa dei diritti delle donne, lo sviluppo sociale delle donne in Albania, la presenza delle donne nelle istituzioni. Al momento è presidente del Forum, essendo stata eletta per la terza volta.
E' una delle scrittrici più conosciute in Albania negli ultimi decenni. Tra le sue molte opere vanno citati i romanzi "Voce lontana", 1981; "Il circolo della memoria", 1984; "Il cervo dei marciapiedi", 1990 e "Requiem", 1991.Ha anche pubblicato raccolte di racconti tra i quali "Gli echi della vita", 1979 e "I giorni di Teuta", 1988.
In Italia è appena stato pubblicato il suo ultimo romanzo, "Scrivere sull'acqua", dall'editore Besa.
Diana ha anche tradotto opere straniere di Jean-Paul Sartre, André Gide e Simone de Beauvoir . Nel 1995 ha ricevuto in Francia il Premio Mediterraneo della Letteratura delle Donne (a Marsiglia); nel 1997 la sua opera teatrale Nemesis ha ricevuto il primo premio dalla giuria franco-albanese a Parigi.
Diversi racconti di Diana Çuli sono tradotti ed inseriti in diverse antologie straniere e alcuni suoi libri sono inseriti nella lista delle letture obbligatorie nelle scuole albanesi.
Da alcune sue opere sono stati tratti film di successo.
Oltre a collaborare con diverse riviste letterarie, Diana è autrice di studi sulle donne albanesi (la sua ultima pubblicazione è "La situazione della donna albanese" per l'editore Dora D'Istria del 2000) e dal 1991 è impegnata nel Movimento per i Diritti Umani e i Diritti delle Donne, sia in Albania che a livello internazionale.
... Non lineare...
Prima di riportare su queste pagine le parti più significative dei miei colloqui con Diana, ne ho verificato con lei l'attualità. Anche adesso, come nel primo incontro, il nostro dialogo non si è sviluppato in modo lineare, ma forse questa è proprio la caratteristica della comunicazione femminile. E non solo della comunicazione, ma della percezione della realtà.
A questo proposito mi viene spesso in mente T.S. Eliot che dice:
"When a poet's mind is perfectly equipped for its work, it is constantly amalgamating disparate experience; the ordinary man's experience is cahotic, irregular, fragmentary. The latter falls in love, or reads Spinoza, and these two experiences have nothing to do with each other, or with the noise of the typewriter or the smell of cooking; in the mind of the poet these experiences are always forming new wholes" (da "The Metaphysical Poets" in Selected Essays, Faber&Faber, London, 1961, pag.287) ("Quando la mente di un poeta è perfettamente attrezzata per il suo lavoro, essa amalgama continuamente esperienze disparate; l'esperienza dell'uomo ordinario è caotica, irregolare, frammentaria. Quest'ultimo si innamora, o legge Spinoza e queste due esperienze non hanno niente a che fare l'una con l'altra, o con il rumore di una macchina da scrivere o con l'odore di cucina; nella mente del poeta queste esperienze formano sempre nuove unità").
Provate un po' a sostituire "poeta" con "donna"...
D'altra parte anche l'universo che ci circonda non è lineare e richiede da noi risposte non in sequenza, ma diverse e contemporanee.
Il Forum: un percorso di emancipazione
Ci siamo incontrate presso il Centro Minerva che è la sede del Forum Indipendente della Donna Albanese. Abbiamo chiacchierato davanti ad una tazza di caffè... e siamo entrate immediatamente nel vivo dell'esperienza del Forum, perché proprio quel giorno era arrivata una nuova cuoca nel ristorantino gestito dal Centro. Il racconto dell'incontro con questa donna ci ha poi portate a ricostruire la genesi del Forum.
Diana - Due settimane fa una donna è uscita dal carcere ed è venuta da noi dicendo: "Voi mi avete aiutata in prigione, adesso che sono uscita mi dovete aiutare a trovare lavoro; ho due figli piccoli, non so come mantenerli"... e noi qui abbiamo fatto riunioni, perché lei era stata in prigione per aver ucciso il marito, dopo una lunga storia di violenza; io dicevo alle ragazze "Che facciamo, la prendiamo ?" "Ma se lei ha poi di nuovo quell'impulso aggressivo... succederà qualcosa..."
Alla fine abbiamo detto: "Proviamo!". Noi non avevamo un posto qua, ma qui si chiude alle quattro. Allora abbiamo pensato: "Se lei viene alle quattro, tiene un po' il bar, lava un po' i piatti, fa pulizia, stira, mantiene questo posto al pomeriggio quando la cuoca va via...".
E lei era felicissima, perché così può avere un po' di soldi, mantenere i suoi figli, e poi è inserita in un ambiente di donne: oggi comincia il lavoro...
(Questa donna ha lavorato fino a pochi mesi fa presso il ristorante con grande successo (ndr))
AR - Come è nato questo Forum? A che tipo di donne si rivolge, chi ci lavora, come viene mantenuto, che tipo di donne ne fanno parte e poi, per quanto è possibile, quale è la tua storia?
Diana - Il Forum è stato fondato nel 1991 con un'idea - a quel tempo non c'erano gruppi indipendenti, o ONG; c'era un passato di niente, non c'era società civile, io a quel tempo lavoravo all'unione degli scrittori, ero giornalista nel campo letterario; tante mie amiche che hanno creato con me il Forum facevano professioni diverse. Perché nel '91 noi in Albania dovevamo rifare tutte le leggi. Per esempio, prima non c'era proprietà privata. Se una donna divorziava, dove andava a vivere? C'era solo una casa di due stanze data dallo Stato, il quale la poteva riprendere quando voleva. E lo Stato ti diceva: in caso di divorzio provvisoriamente tu hai una stanza e il marito l'altra stanza; e rimanevi lì con lui, o tornavi da tua madre ecc..
Nel '91 è cominciata la proprietà privata, si sono divise le proprietà ecc., e noi ci siamo chieste: che succederà con le donne adesso? Perché questi uomini riprenderanno i loro privilegi.
E abbiamo visto che cinquant'anni di comunismo che bombardavano gli uomini contro i pregiudizi, non hanno avuto nessun valore, perché loro sono subito ritornati ai loro istinti maschilisti. Subito. Dopo quattro generazioni. Subito.
Subito, io ho visto amici miei giornalisti che erano anche la destra comunista anti-proprietà privata che andavano a prendere le cose, le terre delle sorelle.
E allora abbiamo capito che il rischio era che potessero fare leggi molto sfavorevoli a noi. E' vero che avevamo il 50% di donne al Parlamento, secondo il principio socialista, ma quelle non avevano nessuna voce in capitolo, come non ne avevano neanche gli uomini, perché quello che contava era il partito. Solo che la presenza aveva la sua importanza, perché erano abituati a veder le facce di donne lì. Poi abbiamo visto subito undici donne soltanto, o dieci, o sette o otto, come adesso. Allora abbiamo cominciato la partecipazione al governo e alla elaborazione delle leggi. Questa era la nostra idea all'inizio.
Poi incontrando altri gruppi di donne dall'est e dall'ovest abbiamo avviato due percorsi paralleli: il nostro percorso di emancipazione e il loro. Abbiamo capito anche come si può lottare per una legge. Così è nato il Forum e abbiamo creato i gruppi.
AR - Quindi voi eravate gruppi spontanei...
Diana - Sì, eravamo un piccolo gruppo spontaneo, non molto definito all'inizio. Soltanto di una cosa volevamo occuparci: la condizione della donna e la legislazione. E poi piano piano, entrando nella strada dei progetti, abbiamo incominciato a redigere progetti, a fare domande alla Comunità Europea, e nel '93 è stato approvato il nostro primo progetto sui diritti delle donne. Abbiamo fatto tutte le zone rurali, una campagna. E' un progetto finanziato dalla Comunità Europea, l'abbiamo fatto con l'Oxfam. Abbiamo lavorato due anni. In questo periodo ci siamo messe in contatto anche con i gruppi italiani. Nello stesso tempo facevamo progetti anche con loro. Noi lavoriamo principalmente con l'ARCI, con il CRIC di Reggio Calabria. Sono le due ONG nostri partner storici ormai, e con Ricerca Cooperazione di Roma. Abbiamo lavorato un po' su progetti per la salute, e con il COSPE di Firenze.
Le guerriere di domani
Diana - Lavoriamo molto con progetti sui diritti, che sono stati soprattutto finanziati dalla UE, sui quali abbiamo lavorato dal '93 fino ad oggi. L'ultimo è stato nel 2000 con una ONG francese, che ha una grande expertise su come partecipare al governo, come fare una legge a favore delle donne ecc. Abbiamo lavorato con loro per due anni.
Il progetto consiste nell'individuare modi di coinvolgimento della donna in politica. L'abbiamo fatto in otto città questo progetto, per esempio su come trovare candidate per il potere locale, per l'amministrazione locale. Abbiamo lavorato duro in questo campo. Facciamo riunioni, workshop, campagne, animazione, su come si fa una campagna, come si fa un poster, come puoi appoggiare una donna...
AR - Lo fate nei piccoli centri?
Diana - In tutte le città. Ultimamente l'abbiamo fatto in otto città.
Facciamo poi grandi conferenze qui, con i partner stranieri e albanesi, invitiamo tutti i deputati, ministri, creiamo una grande sensibilizzazione. E abbiamo fatto anche ricerche, pubblicate. Abbiamo i nostri gruppi, ormai da dieci anni, gruppi storici.
Queste donne sono insegnanti, medici, giornaliste; se una è insegnante in una piccola città, lei lo è anche nel villaggio vicino, perché in mezz'ora ci arriva. E' una cosa capillare. E' una rete. Non è difficile. E poi le donne nostre hanno bisogno di essere organizzate, vengono, partecipano facilmente..
AR - E quindi il prodotto di questi progetti è, per esempio, la candidatura delle donne alle elezioni locali!
Diana - Sì. E un altro risultato è anche quello essere educate, essere sempre informate, diventare autoconsapevoli. Nei primi anni le donne non volevano, dicevano: "No, quelli non ti lasciano, la guerra politica è così forte, io non voglio partecipare".
Noi lavoriamo in due direzioni , quella personale e quella sociale. Anche questo è un enorme lavoro da fare.
AR - Sì, perché tu dici in un tuo saggio che il regime ha dato una grande importanza sociale alle donne, ma non ha educato la persona.
Diana - Sì, è vero, e quindi stiamo lavorando su questo recupero della persona. E ci sono risultati: il movimento donne è molto forte in Albania. Ci sono gruppi veramente forti, anche professionalizzati. Per esempio, noi non lavoriamo più in campo umanitario, non facciamo più family planning come abbiamo fatto nei primi anni: andavamo dappertutto, distribuivamo contraccettivi, pillole, perché prima erano tabù. Non era permesso l'aborto; è l'unico paese socialista... qui ti mettevano in prigione, avevano una politica pro-natalistica: dicevano "Siamo circondati dai nemici, dobbiamo avere tanti figli". Noi le dovevamo convincere che non fa male...
Ci sono standard di alto livello nel nostro movimento: cioè, lavoriamo su grassroot, ma lavoriamo anche a livelli internazionali. Per esempio noi non abbiamo centri per il trafficking (traffico di prostitute), perché lavoriamo molto sui diritti, lavoriamo sui centri sociali, sull'occupazione. Così noi, poi, a parte i progetti sui diritti, con le ONG italiane abbiamo aperto anche tre cooperative di donne che lavorano sui tessuti, a Tirana, a Valona e a Durazzo. E a Durazzo c'è una grande impresa sociale con venticinque donne che ormai hanno contratti e lavorano, e anche a Valona. Sono stati anni duri. Forse siamo l'unica ONG di donne che ha fatto questo.
Lavoriamo anche sul sociale. Per esempio, con le donne carcerate. Abbiamo anche avuto un finanziamento dalla Banca Mondiale per un centro di donne a Bathoria, che è la zona più povera, più emarginata intorno a Tirana. Lì sono arrivati dal nord. Un'esplosione. E sono senza servizi, senza niente. Noi abbiamo creato un piccolo gruppo di donne, le abbiamo formate, sono diventate loro stesse formatrici, così lì può essere un centro dove le donne vanno, imparano mestieri, fanno fisioterapia. Adesso ricominciamo con una ONG Francese. Elles Aussi.
AR - E gli operatori, o le operatrici, chi sono, come li avete formati?
Diana - Per esempio, noi abbiamo una ragazza giovane che era la psicologa, poi c'era Silvana, la cuoca, che insegnava il mestiere.
La psicologa era studentessa all'università, ma qui ci sono stati tantissimi corsi di formazione, soprattutto sul sociale. Anche il Ministero Affari Sociali e anche gli americani hanno dato molto training. Non hanno dato progetti concreti come l'Italia, per fare centri e cooperative, ma hanno fatto molto training, non possiamo negarlo, specialmente su psicologia, e sul sociale. E noi abbiamo ormai persone abbastanza formate che possiamo usare per altri progetti. Ormai nel Forum noi possiamo dare training agli altri, perché abbiamo capacità su marketing, gestione delle cooperative, tessuti, psicologia, sociologia, diritti, educazione civica. Qui facciamo tanti seminari, diamo training ad associazioni appena nate in questi campi.
AR - E le donne rispondono?
Diana - Sì rispondono, hanno tanto piacere. E raggiungiamo anche donne che sono in una situazione sociale e culturale piuttosto arretrata. Poi, quando facciamo un discorso sul gender, allora vengono le donne che hanno un livello molto più alto, quelle che sono già consapevoli. Quelle che saranno anche le guerriere di domani. Mentre quando vogliamo cominciare da zero, allora dobbiamo raggiungerle, come adesso che vorremmo lavorare sulle detenute e sulla periferia di Bathoria. Che sono donne che hanno fatto due classi di scuola al massimo, che vengono dalle montagne, che non hanno nessuna cultura, anche di vivere. Cioè noi vorremmo lavorare lì adesso...
Siamo diverse dalle Italiane, ma...
AR - E nelle loro famiglie, ... io ho sentito dire e ho letto che, per quanto socialmente le donne si stiano affermando, all'interno della famiglia i ruoli sono molto definiti e molto...
Diana - Sì, questa è una tradizione albanese. Mediterranea, prima di tutto, poi balcanica, poi albanese. Qui è rimasta un po' di più, per ragioni storiche, perché siamo stati chiusi per tanti anni. Forse, se in questi cinquant'anni l'Albania non fosse stata chiusa in quel modo, anche qui, come in Grecia o in Italia, le cose sarebbero cambiate molto, con il confronto, l'apertura, gli scambi. Per esempio, tanti uomini che sono andati in emigrazione, dai test che noi abbiamo fatto, hanno cambiato il comportamento con le donne. Perché... hanno dovuto imparare!
AR - Mi hanno detto che gli uomini albanesi non sanno fare complimenti...
Diana - Dipende. Non come gli italiani, no, non come fanno loro. E' un'altra cultura, per esprimere anche la simpatia, per esempio. E' un altro modo di stare insieme, che può essere, che è, più balcanico che italiano o francese. Ed è giusto che rimanga. Non è una mancanza di sensibilità. E' un nostro modo di comunicare, anche le donne, siamo diverse dalle donne italiane: è un altro modo di esprimersi. Certe volte a me piace di più per esempio, il modo loro qui. Perché tu poi al complimento esagerato non credi più. Ti dà fastidio.
AR - E poi ci sono i ruoli, a casa...
Diana - E poi i ruoli, a casa la donna fa sempre di più, ma è colpa di mamma, che divide i lavori da quando sono piccoli. Per me è una grande colpa delle mamme, qua. E questo mi pare molto simile all'Italia. Niente di strano. Perché lei, se il figlio fa qualcosa, dice "Questo lo fa tua sorella". Allora lui, se cresce, che deve fare?
AR - Mi pare che la generazione più attiva, più combattiva sia proprio quella che ha studiato sotto il regime, ha iniziato a lavorare sotto il regime e poi ha cambiato. Diciamo le persone più o meno tra i 40 e i 50 anni. E come sono i rapporti con la generazione precedente e con quella dei figli, per esempio i figli che hanno vent'anni, che non hanno avuto quelle esperienze dure, i razionamenti, le file per il latte, le paure...?
Diana - Ma io credo che per una ragazza che ha trovato tutto quanto come in Italia, ormai che le leggi sono state fatte - le abbiamo fatte noi, con la nostra lotta - sembra tutto facile. Lei va all'università, non deve lottare, a lei sembra che tutto vada bene. I problemi cominciano quando si sposano, e hanno anche un lavoro. Quando sei giovane ti sembra che tutto ti sia dovuto. Perché a scuola tu stai alla pari con il ragazzo, all'università non vedi discriminazione. La discriminazione comincia quando tu cominci a lavorare, quando nel posto di lavoro ti discriminano. Ci sono diversi modi di manifestare la discriminazione: devi lavorare il doppio di un uomo per avere riconoscimento o per avere un merito.
E nella famiglia quando ti sposi vedi che quel tuo ragazzo non è così gentile com'era prima. Allora cominciano ad arrabbiarsi, a protestare verso i trent'anni, trentacinque, quando subiscono sulla loro schiena. Tu glielo dici quando hanno vent'anni, non ti credono. E io dico, va be', aspetta di essere sposata. Specialmente se vivono con i loro suoceri. Se vivono da soli no, perché poi sanno gestire la loro vita insieme nello stesso modo in cui si sono conosciuti. Se vivono con i suoceri, la mamma del marito, questa suocera, ha i comportamenti tradizionali, non le importa che la nuora sia una studentessa, professoressa, no, lei deve fare la schiava della famiglia. Io credo che sia un meccanismo universale questo di queste suocere, specialmente nel Mediterraneo. Ma qui questo meccanismo si è accentuato perché per tanti anni siamo vissuti insieme, perché non c'erano case.
AR - Anche adesso ci sono molti casi di coabitazione. So che è molto comune che la suocera (o entrambi i suoceri) vada a vivere in casa del figlio maschio più giovane quando questo si sposa.
Diana - A Tirana non tanto, di più nelle piccole città. Perché non hanno la possibilità, non perché vogliono. Sono costretti, ma devono avere la forza di andare via. Sono costretti, è questo che dico. Perché la casa costa 60.000 dollari. Cioè, è una situazione obbligata non è che loro vogliono stare insieme. Stare insieme, anche se sei in Italia, non è bello.
L'uscita dal grande bunker