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Per una nuova immagine 
delle donne albanesi

Un progetto
di
Anna Rosa Iraldo e Paola Musarra
Decima parte





Sommario

Pegaso
di
Paola Musarra

Proviamo ad immaginare una lingua straniera come una città fortificata.

Possiamo entrarvi con tutti gli onori attraverso la Porta principale: una via maestra ci guida nel cuore della città, fino alle armoniose costruzioni dei filosofi, dei giuristi, degli scienziati - cattedrali del pensiero.

citta' ideale

Oppure possiamo introdurci di soppiatto attraverso qualche angusta entrata laterale: in questo caso, vie d'accesso tortuose e secondarie ci catapultano nel brulicare della vita quotidiana, in mezzo al contatto urticante delle "cose". Siamo sommersi da un vociare confuso e dissonante, dal quale a tratti si leva un ordine, un grido.

Questi due mondi rischiano di restare separati: un abisso separa le prospettive ideali dei superbi palazzi dalle secrezioni dei corpi che si agitano nei mercati, nelle fabbriche, nelle caserme.

Eppure...

Eppure ci sono ponti che scavalcano il solco, che collegano le due parti della città. Su questi ponti si stagliano fragili figure che sanno ritrovare, rinnovare e tessere i ritmi e i suoni di una lingua nella quale tutti possano riconoscersi.

Attraverso il canto, la poesia, creano sogni da sognare insieme - sogni che sanno volare oltre le mura.


L'albanese, lingua per me del tutto sconosciuta, cittadella inespugnabile.

Per la prima volta ne ho ascoltato i suoni attraverso la voce calda della cantante arbëresh Silvana Licursi, ricordate?

Poi fu la volta delle complesse polifonie del gruppo Zadra; in quella occasione vidi per la prima volta la forma scritta dell'albanese, che trovai ostile all'occhio.

Ripensandoci oggi, scopro una fratellanza nel titolo del canto che mi era tanto piaciuto:

aprile
 prilli

Un prestito? Un calco? Una radice comune? Mi propongo di approfondire la questione.

Ma ecco una terza occasione: l'otto gennaio di quest'anno erano presenti due poeti albanesi a Radio 3 Suite.

Avevo perso quella trasmissione, ma ora, grazie alla cortesia di Monica D'Onofrio che l'aveva organizzata, ho potuto ascoltarla. Ve ne propongo un primo assaggio.

Due poeti, dunque. Il poeta arbëresh Giuseppe Schirò di Maggio, che vive a Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo, e Visar Zhiti, che durante la trasmissione parlava da Tirana.

Ho già parlato di Zhiti in occasione dell'incontro alla Casa delle Letterature: "... il nostro nome che non sanno pronunciare..." (attenzione: il gruppo consonantico "zh" in albanese ha il suono della "j" francese, come in joli).

Durante il regime di Hoxha, Visar Zhiti è stato a lungo detenuto perché "imitatore dell'arte reazionaria", accusato di aver "seminato veleni e disastri" con la sua poesia nell'"orto pulito" del socialismo.

Durante la detenzione non poteva scrivere, ma ha composto lunghe poesie incidendole nella sua memoria.

Un giorno, attraverso il finestrino della sua cella, vide un cavallo strappare con i denti qualche filo d'erba nelle vicinanze della prigione.

La sua immaginazione trasformò il cavallo in un Pegaso scintillante, che si materializzò accanto a lui.

Ma il poeta si sentiva brutto, sporco.

E. Delacroix, Cavallo spaventato

E allora (qui la voce di Zhiti, che recita i versi in albanese, si fa sommessa e spezzata)

"... mi misi da parte
per non sembrare selvaggio
al cavallo...
"

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mise en page: 
pmusarra

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