Ogni volta che Anna Rosa torna dall'Albania guardiamo e scegliamo insieme le foto che ha scattato, mentre lei le arricchisce con i suoni e gli odori che ha percepito.
Ascoltiamo insieme le cassette con le registrazioni delle interviste alle donne albanesi.
Il nostro passato di insegnanti ci rende molto sensibili alle voci: il corpo traspare dalle pause, dalle velature, dal respiro disteso o trattenuto, dalle piccole risate, dai colpi di tosse.
Si sente subito se una storia è già stata raccontata, oppure se sta emergendo faticosamente proprio in quel momento, se i ricordi dolorosi sono stati "messi in forma" da tempo, oppure se hanno ancora punte laceranti non domate.
Ma....
C'è un grosso "ma": le donne intervistate non parlano nella "loro" lingua. Ai numerosi filtri di cui parlavamo all'inizio del nostro lavoro, ne va aggiunto un altro molto importante: le donne parlano con Anna Rosa in italiano o in inglese.
E l'albanese dov'è?
Accoccolate in mezzo ad un mare di foto, trascrizioni, cassette e cartine geografiche sparse sul letto, ci interroghiamo su questa lingua nascosta, più o meno occultata, che a tratti si rivela attraverso uno strano giro sintattico, un diverso aspetto del verbo, un aggettivo imprevisto o un improvviso silenzio - quando la lingua aliena non soccorre.
La nostra preparazione professionale ci fornisce strumenti di analisi raffinati, ma - come dire? - troppo pesanti. Accademicamente e/o didatticamente pesanti. Abbiamo poca voglia di scaricarli su questo fragile miracolo che si crea da bocca a orecchio di donna, fino a materializzarsi in pixel colorati sullo schermo.
D'altronde, la consapevolezza linguistica che i nostri studi ci hanno dato non può essere cancellata. Decidiamo quindi di comune accordo di accendere una spia in più sul nostro cruscotto, destreggiandoci tra intuizioni, esperienze, percezioni e riferimenti bibliografici per comunicare anche a voi le nostre riflessioni.
Anna Rosa e Paola
Pegaso
di Paola Musarra
